L'ironia e lo stile di Flaiano vincono anche a teatro
Con lo stesso titolo una selezione delle recensioni teatrali di Flaiano era uscita da Rizzoli nel 1983 e poi da Bompiani nel 1996 (Flaiano è morto a sessantadue anni, nel 1972), e questa volta sono state selezionate 52 recensioni, tratte da «Oggi», «Italia», «L'Europeo», di cui 16 mai raccolte in volume. Tra queste ultime, memorabili quelle dedicate a Natale in casa Cupiello, di Eduardo De Filippo (1941), Il cerchio di gesso del Caucaso, di Bertolt Brecht (1963), Slapstick Tragedy, di Tennessee Williams e Il giuoco degli eroi, di Vittorio Gassman (1966). A colpire non è soltanto l'acutezza del giudizio teatrale, in continuo confronto con le specificità del cinema, bensì è la scrittura di Flaiano a nobilitare ogni occasione. E se qualcuno afferma che il giornalismo e le sceneggiature cinematografiche hanno danneggiato il Flaiano narratore, ecco la fedele curatrice Anna Longoni a spiegare che «il respiro della sua prosa si rivela perfetto per la scrittura giornalistica. E allora quello che si scopre non è il limite del giornalismo nella produzione letteraria, ma la forza di uno stile nella produzione giornalistica».
In ogni caso, gli scritti teatrali di Flaiano sono occasioni (non pretesti) per parlar d'altro, cioè del costume, della letteratura, della moralità dell'arte.
Fondamentale l'articolo L'amaro teatro, del 1943. Il fascismo aveva favorito un teatro consolatorio, piccolo borghese con immancabile lieto fine, e nell'immediato dopoguerra si cominciava a sentir parlare di impegno, di teatro per il popolo, di manifesti ideologici. Flaiano è nettissimo: «Quando da un quadro si arriva a capire che il pittore è repubblicano, socialista, comunista o liberale vuol dire che il pittore non dipinge: ossia, che invece dei suoi sentimenti preferisce mettere in moto i suoi risentimenti. Altro che teatro per il popolo! Io sto, caso mai, per il teatro dell'indignazione».
L'ironia, la calma disperazione di Flaiano, la sua indulgenza verso le colpe ma non per la stupidità altrui, lo rendono scrittore assolutamente unico, insostituibile. Nel teatro dialettale di Eduardo, Flaiano (che a volte recensirà il pubblico in sala, oltre che gli attori sul palco) sentirà «nell'aria profondi legami di omertà biologica tra platea e palcoscenico»; a proposito di Brecht: «La forza di uno spettacolo come il "Galileo" è didattico-cerimoniale; e vorrei aggiungere, possibilmente senza ironia: di rito ambrosiano»; Gadda è «un autore al quale si torna per trarne un certo conforto, e anche una certa disperazione; o meglio un conforto che nasce proprio dalla ricerca della disperazione»; e, nelle serate estive delle notti romane, ecco «i giovani che aspettano qualsiasi cosa e stanno lì coi loro occhioni di mamma a guardare tutto, imbambolati dalla parte che si sono scelti, dalle occasioni che non si presentano, dalle signore ricche che non arrivano, e tutto fa pensare alle faticose prove di un musical destinato all'insuccesso». Non mancano i folgoranti paradossi: «Una delle cause principali del divorzio è il matrimonio»; oppure, più sul serio: quello dei rapporti dell'uomo con Dio è «un problema, sia detto di sfuggita, che non ci interessa, non tanto perché non crediamo in Dio, ma perché è chiaro che Dio ha smesso di credere in noi. Siamo noi che "non esistiamo"». Interrompo qui, ma non è finita: ce n'è almeno per la prossima settimana.