Un gruppo di liceali padovani, ragazzi e ragazze, passano insieme il sabato pomeriggio a metà degli anni Settanta esibendosi in impennate sui motorini, bighellonando nei locali, scherzi e qualche scazzottata. Sono amici-fratelli, si scambiano le ragazze, attenti ai colori delle camicie, delle magliette e alla marca dei jeans, ascoltano musica, ballano. Ciascuno ha il suo modo di fare, ma il gruppo come tale sembra possedere un'organica personalità. Poi ci sono «i figli degli operai della Travis con busta paga di novecentomila al mese, iscritti alla Cgil dell'inizio degli anni Sessanta e membri storici della Rsu della fabbrica, oppure figli di rappresentati di commercio rovinati dai troppi bicchierini di Fernet e di Stravecchio». Si ritrovano in locali più modesti, i due gruppi di coetanei non si frequentano perché la differenza di classe segna come un tatuaggio. Questi sono i protagonisti di Non c'è stata nessuna battaglia, di Romolo Bugaro (Marsilio, pagine 224, euro 16,00), un romanzo che sembra stato scritto dopo essere stato pensato parola per parola. Da tempo non si leggeva un romanzo così ben strutturato eppure sciolto, psicologicamente profondo. In brevi capitoli prendono la parola i vari personaggi, con sovrapposizioni, intrecci, cambi di prospettiva, fino al 2019. C'è il “Vecchio Andrea” che maltratta Tod che a sua volta maltratta “il Cardo”; c'è “la Canova”, che si metterà con Nick The Best One, per poi lasciarlo per soccorrere il “Vecchio Andrea”, ormai drogato sfatto, che le morirà in casa. Finirà per sposare Carlo, direttore finanziario di una Banca veneta che fallirà. La chiave del racconto la fornisce Tod quando GMT finalmente gli confida di non riuscire a dimenticare la ragazza che lo stava lasciando prima di un grave incidente con lui in moto: «Lo sai come nascono le perle, no? C'è un granello di sabbia o di qualcosa che entra dentro la conchiglia, e la conchiglia lavora, lavora, e alla fine ecco la perla. Forse voleva mettere lì un granello di sabbia per farti lavorare, cioè pensare a lei». Ciascuno dei personaggi, e forse ciascuno di noi, sta lavorando la propria perla. Negli anni il gruppo si scioglierà, alcuni finiranno tra i drogati, altri in gruppuscoli neofascisti velleitari. «Non c'è stata nessuna battaglia». L'unico “vincente” almeno sul piano professionale, è Tod, diventato immobiliarista negli Usa. Ma c'è speranza anche per Nick, che si sta separando dalla moglie per mettersi con Micol, ma che ha un sussulto di paternità quando il figlio Leo, di dieci anni, rischia di morire assiderato avendo scelto di perdersi nel bosco innevato, in preda a un dolore che nessuno aveva colto. In ospedale, mentre il bambino si sta riprendendo, Nick forse trova la forza di dire alla moglie: «Parlerò con Micol. So bene che quel nome sarà sempre una ferita aperta per te, uno strappo difficile o impossibile da ricucire, però non è detto e comunque non importa, perché adesso dobbiamo pensare soltanto a Leo, tirarlo fuori dal maledetto buco nero dov'è caduto». Un adulto, finalmente. Nel primo capitolo.