L'intelligenza emotiva e il valore del dubbio
Ma di cosa stiamo parlando? Della capacità di riconoscere, comprendere e gestire in modo consapevole le nostre emozioni e quelle di chi ci circonda, nel lavoro e negli affetti. Una "competenza" assai preziosa, ma tuttora misconosciuta nelle nostre società. Perché se c'è una caratteristica distintiva che accomuna (da molti secoli) le civiltà occidentali, è la prevalenza assoluta della ragione sul sentimento. Da ricercare, ostentare e brandire come un'arma la ragione, elevata al tempo stesso a mezzo e fine dell'agire umano. Da nascondere e governare fino alla cancellazione il sentimento, considerato un pericoloso elemento collaterale, un ostacolo nel raggiungimento dei nostri obiettivi. Eppure già a metà degli anni Novanta David Goleman aveva spezzato questa dicotomìa, teorizzando appunto l'esistenza di una "intelligenza emotiva". Ovvero riconoscendo alla gestione delle emozioni la dignità d'una forma di intelligenza, da coltivare e magari imparare sul campo.
La speranza è che la nuova moda in arrivo possa aiutarci a riconsiderare il valore e la funzione cognitiva del dubbio. «Piccolissimo è quello spirito che non è capace o è difficile al dubbio» scriveva Giacomo Leopardi. E in effetti la capacità di dubitare - delle proprie e altrui (apparenti) certezze - è parte decisiva dell'ascolto di sé e degli altri, quindi dello sviluppo di un'intelligenza emotiva, e consente di superare quella folla di pregiudizi che oggi condiziona le nostre scelte. Nell'era delle leadership basate sull'immagine e scevre da ragionamenti, nella fase storica in cui le "fake news" (le bufale) conquistano il web e le nostre menti, il dubbio potrebbe diventare la nostra principale forma di difesa. È ora di riscoprirlo.
@FFDelzio