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L’informazione digitale e il doppio ruolo dell’IA

Gigio Rancilio venerdì 1 marzo 2024
Lo sperimentiamo tutti, ogni giorno. In un mondo dove si producono sempre più contenuti digitali, è sempre più difficile trovare e selezionare ciò che davvero ci interessa. Per questo, sul fronte dell’informazione, sta crescendo la percentuale di lettori che visita ogni giorno la prima pagina dei giornali online che considera credibili. Chi lo fa cerca un porto sicuro, un luogo familiare. Un posto dove sa che troverà qualcosa di buono per lui. La gran parte del pubblico dei lettori, però, è più passivo. C’è chi legge una notizia solo quando ci “inciampa” sui social (cioè, la scopre mentre stava facendo tutt’altro) e chi si affida a servizi come Google news che però spesso danno uguale importanza a testate giornalistiche molto diverse. A peggiorare le cose c’è il fatto che, da quando gli editori hanno deciso di chiedere ai proprietari delle piattaforme di pagare loro una parte di profitti, la visibilità dei contenuti giornalistici sui social e su servizi come Google News si è abbassata molto. Insomma, ormai bisogna davvero avere voglia di informarsi seriamente per essere cittadini e persone migliori per non perdersi in mezzo a tanti contenuti di basso valore. A prima vista a salvarci - o almeno ad aiutarci - potrebbe essere l’intelligenza artificiale che ha tra le sue capacità di quella di fare ordine. Ma anche qui le cose non sono così semplici. Google e Microsoft, per esempio, usano e useranno sempre più l’IA per rispondere alle nostre ricerche di notizie su determinati argomenti non solo con una lista di articoli pertinenti ma anche e soprattutto con un box a inizio pagina che risponde (sinteticamente) già alla nostra ricerca, usando fonti giornalistiche diverse. E qui nascono dei problemi. Uno per chi fa informazione e uno altrettanto grande per chi la cerca. In questo modo, infatti, il traffico che sino a oggi viene veicolato dai motori di ricerca ai siti dei giornali è destinato a diminuire sensibilmente, danneggiando gli editori che guadagneranno sempre meno, con l’aggravante che questi riassunti vengono fatti dall’intelligenza artificiale con una parte dei loro contenuti. Quella che per i lettori sarà a prima vista una nuova scorciatoia (sapere le cose impiegando sempre meno tempo) alla lunga produrrà danni anche a loro. Perché di fatto condannerà molti a una conoscenza sempre più superficiale di ciò che accade. Con sempre meno spazio per analisi e ragionamenti e quindi con sempre più potere all’emotività e alla superficialità. All’orizzonte ci sono però anche due buone notizie. La prima è che una parte importante dei lettori è diventata e diventerà sempre di più esigente e attiva e quindi cerca, cercherà e pagherà sempre di più (al momento siamo a circa il 12%) per avere contenuti di qualità. Certo, è e sarà una parte minoritaria, ma è destinata a crescere. La seconda notizia è che stanno nascendo progetti che usano l’intelligenza artificiale per aiutare l’informazione. L’ultimo nato si chiama Particle.news ed è realizzato da un team guidato da ex ingegneri di Twitter. Il servizio è entrato in beta privata (cioè aperto solo a un piccolo numero di persone invitate) ma promette di offrire «un’esperienza di lettura di notizie personalizzata e capace di allargare le nostre prospettive». In più, non solo sfrutta l’intelligenza artificiale per riassumere le notizie, ma mira anche a farlo in un modo equo compensando autori ed editori. Ciò che non è ancora chiaro è quanto li pagherà e come si sosterrà il servizio (farà pagare un abbonamento e quanto?). Al momento lo prendiamo per quello che è: un piccolo segnale incoraggiante non solo per chi come noi fa informazione ma anche per tutti quelli che credono sia un fattore fondamentale per una buona democrazia. © riproduzione riservata