Uno dei più perspicaci critici militanti che si sono dedicati a riflettere su forme e problemi della nostra narrativa attuale, Raffaello Palumbo Mosca, ha giustamente richiamato l'attenzione sulle origini del romanzo italiano e sul suo maggiore classico, Alessandro Manzoni. È appena uscito per le edizioni Inschibboleth L'ombra di Don Alessandro. Manzoni e il Novecento, in cui Palumbo Mosca insegue l'autore dei Promessi sposi nell'influenza esercitata su quattro scrittori, tutti narratori-critici impregnati di saggismo, come Giuseppe Antonio Borgese, Carlo Emilio Gadda, Leonardo Sciascia e Mario Pomilio. Particolarmente interessato alla commistione e ibridazione di racconto e pensiero, di romanzo e saggio, Palumbo Mosca guarda a Manzoni in quanto filosofo morale, nonché cristianamente metafisico, in forma di romanziere. Il libro è da leggere attentamente, è acutamente speculativo e affascina sia per quello che viene detto di Manzoni che per i diversi modi nei quali la sua lezione ha fecondato e orientato l'opera di quattro autori novecenteschi. Mi limito a un paio di osservazioni sul primo capitolo, che introduce al problema del male nella storia umana e alla visione complessa e originale che ne ha Manzoni. Anni fa mi azzardai, da non studioso, a dire che I promessi sposi, con Le affinità elettive di Goethe e Moby Dick di Melville, sono romanzi “fuori canone”, esulano dalla corrente dominante del romanzo moderno da Cervantes al Novecento. La forma simbolica del romanzo moderno si presenta come empirica e antimetafisica, perché racconta un'esperienza del mondo come ricerca e avventura priva di orientamenti aprioristici, in cui l'autore stesso sta a vedere sperimentalmente che cosa succede a un certo tipo di personaggio in un certo tipo di ambienti e di situazioni. Manzoni invece (come in modo diverso Goethe e Melville) crede a un ordine di verità che supera la storia e che la storia umana in sé non può intaccare. Tutte le strategie stilistiche di distacco ironico o doloroso del narratore Manzoni rispetto alle vicende narrate, indicano che il suo romanzo ha in sé due dimensioni, una fattuale e una provvidenziale, che coesistono parallelamente o si scontrano drammaticamente. In questo, Manzoni è estraneo a quell'umanesimo antropocentrico e storicistico moderno senza trascendenza che sembrò l'ultima parola filosofica dell'Occidente, che ora è in crisi e rivela le sue insufficienze.