«Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie» proclamava fragorosamente il manifesto dei futuristi, scritto da Marinetti nel 1909. I futuristi, impegnati a combattere tutto quello che sapeva di vecchio, volevano così far piazza pulita del passato, distruggere fin le tracce più esili della storia, azzerare il tempo alla giovinezza. I vecchi quadri e i vecchi libri raccolti nei musei e nelle biblioteche erano ai loro occhi come cadaveri in un cimitero. Per la prima volta nella storia, dopo secoli passati a ricostituire e a mettere insieme i frammenti del passato, ora esso diventava un disvalore assoluto, un intralcio alla vita. Una provocazione che poteva preludere alle guerre del Novecento, ai roghi nazisti dei libri, agli stermini dei disabili, anche se non era affatto inevitabile che questo ne sarebbe stato il percorso. Fino ad allora, comunque, le distruzioni dei libri e della storia erano state il frutto avvelenato di conflitti fra posizioni politiche, fra culture, fra religioni. Ora diventavano l'esito del conflitto fra il vecchio e il nuovo: ma le lancette dell'orologio non si fermano nemmeno per i distruttori del tempo e il nuovo incalza sempre più nuovo, con potenziali di distruzione sempre maggiori.