«Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: mai più la guerra, mai più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell'intera umanità! Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno. Le armi, quelle terribili specialmente, che la scienza moderna vi ha date, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli». Era il 4 ottobre del 1965. Papa Paolo VI indirizzava questo messaggio ai 166 Paesi rappresentati in quel momento all’Assemblea delle Nazioni Unite. L’organizzazione svedese “Uppsala Conflict Data Program” registrava, nel 2022, cinquanta cinque conflitti armati nel mondo, dei quali otto considerati come guerre. Ci risiamo. In tutti questi anni, nella complice adesione di Paesi e Comunità Internazionale, i fabbricanti di armi hanno pienamente risposto alle aspettative e attese delle élite politico-finanziarie che vogliono ad ogni costo perpetuarsi al potere. Le guerre sono il mezzo privilegiato che garantisce perennità e guadagni alle industrie degli armamenti e all’ideologia letale che le crea. Non dovremmo però lasciarci illudere o fuorviare dalle necessarie analisi geopolitiche o macroeconomiche. Il Sistema di Dominazione che a tutt’oggi continua a governare il mondo trova ispirazione e giustificazione in un malessere di natura che potremmo definire “religiosa”. Le divisioni e contraddizioni del mondo e delle strutture portanti delle società evidenziano le conseguenze di un rapporto distorto degli umani col loro destino. La rottura del legame con l’origine è il nostro dramma.
Il vuoto che, soprattutto in Occidente, sembra condurre al nichilismo, si esprime in particolare nel declino demografico che appare come uno dei sintomi della perdita del senso e fiducia nella vita. Ridurre le persone a meri consumatori, carne da cannone, elettori occasionali di una politica asservita al capitale, sudditi di un progetto imperiale, merce di scambio per un potere ammalato di arroganza o servitori volontari del dio denaro non può che condurre al riarmo del mondo. Si tratta, infatti, di una risposta violenta alla violenza radicale perpetrata sulla dignità della persona umana. Ciò a cui assistiamo nello spazio del Sahel, da secoli luogo di convivenze serene e conflitti anche armati, non si distacca dalla prospettiva citata. Infatti, solo nel 2023 sono stati 11.643 i morti da attribuire alla violenza dei gruppi “islamisti”. Le vittime sono triplicate dal 2020, data del primo colpo di stato giustificato proprio per motivi di sicurezza. Da allora sono seguiti altri putsch con una graduale militarizzazione della vita politica e sociale. Le spese negli armamenti sono andate a scapito di quelle sociali, e non casualmente sono i militari ad aver preso il potere in questi Paesi. Il totalitarismo nel pensiero sulle armi come unica salvezza è la storia antica di una sconfitta annunciata.
Niamey, febbraio 2024
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