L'indicazione geografica conta: i cibi che ce l'hanno vendono di più
Si tratta di indicazioni importanti, soprattutto perché arrivano da un servizio di monitoraggio capillare che tiene sotto controllo l'andamento delle vendite nella Grande distribuzione organizzata (Gdo). Certo, quelli analizzati sono campioni di mercato, che tuttavia indicano bene la situazione. I risultati per ora riguardano solo otto mesi (gennaio-agosto 2016), di rilevazione, spiega una nota di Ismea, ma evidenziano comunque come l'indicazione IG crei valore. Fanno poi pensare i dati relativi ai prodotti lattiero-caseari. Nel periodo gennaio-agosto 2016, le vendite a peso fisso di formaggi Dop hanno mostrato un +8% in volume e un +5,7% in valore rispetto ai primi otto mesi del 2015, mentre le vendite di formaggi senza marchio Dop sono risultate in crescita solo in volume (+1,4%). Mentre le vendite di salumi Dop e Igp sono cresciute del 3,9% in volume e del 7,2% in valore: molto di più rispetto a quelli senza marchi geografici. Addirittura poi nel caso dell'olio di oliva extravergine Dop e Igp le vendite sono cresciute del 6,9% in volume e del 3,2% in valore rispetto all'extravergine no Dop e Igp che ha avuto un calo del -10,4% in volume e del -7,3% in valore.
Si tratta di una tendenza della quale gli operatori si sono naturalmente resi conto. Tanto che proprio gli alimenti Dop e Igp sono fra quelli maggiormente presenti sugli strumenti di promozione adottati dai punti vendita.
La strada della differenziazione continua quindi ad essere quella vincente sul mercato alimentare nostrano. Questione, come si è detto, di maggiore chiarezza e di più forte comunicazione nei confronti di consumatori che se da una parte devono fare i conti con risorse economiche non certo ampie, dall'altra non
trascurano la necessità di un'alimentazione che sia salubre e genuina: condizioni che proprio i marchio Dop e Igp dovrebbero garantire in maniera più forte.