L'«incontro del secolo» è stato la negazione dello sport
Soprannominato "Money", ha per anni dominato la classifica degli sportivi più pagati del pianeta, come testimoniato anche dal vezzo di pubblicare, sui profili social, sue fotografie seduto davanti a tavoli ricoperti di mazzette di dollari come neanche Zio Paperone farebbe.
Conor McGregor, invece, è un 29enne irlandese campione di arti marziali miste. Per chi non fosse appassionato al genere, è quello "sport" in cui due esseri umani si infilano in una gabbia e sono autorizzati a colpirsi utilizzando tutta la violenza immaginabile, riducendosi spesso a maschere di sangue finché uno dei due cede, sopraffatto dall'avversario, esattamente come succede nel combattimento dei galli nell'isola di Bali.
In questo caso McGregor ha sfidato Mayweather, concedendogli le regole del gioco: un incontro di boxe sulla distanza di 12 riprese. Al vecchio campione non deve esser parso vero: due anni dopo il ritiro, ecco la possibilità di battere il record di Rocky Marciano e di intascare la borsa di 100 milioni di dollari (sì, non è un errore: proprio cento milioni di dollari) contro i "soli" 75 milioni per lo sfidante. Oltre alla borsa, in palio la classica "cintura" per il vincitore. Una cintura fatta di pelle di coccodrillo sobriamente arricchita da 3.600 diamanti, 600 zaffiri, 300 smeraldi e 1,5 kg d'oro. Valore stimato circa un milione di dollari. Giusto un souvenir, insomma, rispetto agli assegni e al volume d'affari complessivo della serata che le ipotesi più conservative hanno valutato intorno ai 700 milioni di euro: in due ore l'intero Pil delle Isole Samoa.
Ma al di là degli aspetti economici (come pro-memoria, Mayweather si è presentato sul ring con guantoni e pantaloncini dorati) la cosa interessante sono stati i due mesi di promozione dell'incontro. I due protagonisti sono stati protagonisti di un "trash talking" (una serie di insulti allo scopo di intimidire l'avversario e, soprattutto, fare spettacolo) ben oltre i limiti della decenza. L'incontro in sé, invece, pareva scontato: a detta di tutti gli addetti ai lavori, nessuna possibilità di vittoria per l'irlandese, costretto a utilizzare le regole della boxe. Così è andata, come da copione.
Un buon inizio di McGregor, stordito poi da un turbine di cazzotti di Mayweather con conseguente interruzione, al 10° round, per ko tecnico. Tutti contenti, insomma. Lo spettacolo è durato abbastanza, il pubblico pagante e i numerosi VIP a bordo ring hanno avuto il loro show. Felici soprattutto gli organizzatori, che oggi, probabilmente, stanno ancora contando i profitti. La cosa che sorprende è come questo evento "pseudo sportivo" fosse uno spettacolo senza l'elemento fondamentale: l'incertezza del risultato finale. Tutto era chiaro, chi avrebbe vinto e chi avrebbe perso. Lo show era da un'altra parte. Infatti i due avversari si sono fatti vedere abbracciati dopo l'incontro, di fronte a un bicchiere di whiskey prodotto da McGregor (per arrotondare?) e si sono scambiati, dopo due mesi di insulti irripetibili, dei grandi complimenti.
Las Vegas, la città costruita nel niente del deserto, ha fatto il suo lavoro perfetto: specchio del poco o niente di questo tempo, dove se un giorno si comportano così due atleti venuti dalla disperazione della povertà e il giorno dopo sembrano muoversi nella stessa maniera il presidente degli Stati Uniti e il dittatore della Corea del Nord. Uno spettacolo volgare che davvero nulla c'entra con lo sport, di cui avremmo fatto volentieri a meno, ma che ci racconta tanto del mondo che stiamo vivendo.