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L'incompresa eredità pedagogica di don Milani

Goffredo Fofi venerdì 7 aprile 2017
Don Lorenzo Milani, il prete di Barbiana, è morto cinquant'anni fa, ed è paradossale che ancora oggi si debba difendere il suo esempio dai professori e dalle professoresse di oggi, che gli attribuiscono la colpa, più o meno, di aver rovinato la scuola italiana con la celebre Lettera scritta insieme ai suoi allievi a chi li ha preceduti sulle cattedre della scuola di Stato. Credo che per capire le "professoresse", anche quelle di sesso maschile, occorra tener presente oltre alla "lettera" un altro libro, uscito in Italia due anni dopo, il saggio-inchiesta di Maurizio Barbagli e Marcello Dei Le vestali della classe media (Il Mulino 1969, più volte ristampato), che mostrava la realtà di quella categoria, il suo attaccamento a una visione autoritaria e classista della società, le sue resistenze alla riforma del 1962 sulla scuola unica, la sua difesa ossessiva di uno status e di privilegi (peraltro scarsi) a servizio di un'ideale classe media che pochi mesi dopo si sarebbe chiamata "maggioranza silenziosa", che ha assorbito e riplasmato operai e contadini e artigiani - evoluzione economica e mediatica aiutando - ed è diventato un tutto magmatico e confuso culturalmente unitario, che difende non sa bene cosa da non sa bene chi poiché di fatto segue ogni suggestione che le viene dall'alto. E d'altronde (solo in questo le professoresse di oggi possono avere qualche ragione) è stata la generazione delle nuove "professoresse", quelle venute dal '68, ad aver rovesciato dapprima in ideologismi e in corporativismo i punti di partenza originari, nei quali molto aveva contato la famosa Lettera, per poi tornare alle vecchie consuetudini e alle vecchie immagini di sé. E così le vecchie e nuove professoresse, quelle "di destra" come quelle "di sinistra", si ritrovano oggi unite nella difesa di una baracca che non sta più in piedi semplicemente perché il sistema di potere e di dominio attuale, post-mutazione economica e antropologica, non ha più bisogno di scuola per il popolo, a cui lascia internet e i suoi derivati. Ma il discorso è lungo e si spera che qualcuno osi farlo, anche se non si vede in giro nessun pedagogista che ne abbia la forza e soprattutto la voglia. Per capire don Milani e il suo valore di pedagogista è bene leggere il libro di una "professoressa", Adele Corradi, che Feltrinelli ha opportunamente ristampato in economica, Non so se don Lorenzo (pagine 182, euro 9). Il titolo della Corradi sottintende «se don Lorenzo avrebbe approvato questi ricordi», ma proprio il veridico e convincente don Lorenzo da lei raccontato ci certifica che sì, li avrebbe approvati. Limpide e profonde, queste memorie sono dettate da assoluta sincerità e dall'adesione convinta fino in fondo, dopo anni e anni, al metodo di quel maestro, a un modo di intendere l'insegnamento e la sua sacralità, un metodo che può ancora servire, in una nuova scuola, ai "figli del popolo" di oggi, che sono anche quelli delle disastrate classi medie, avvilite loro malgrado da una società più classista che mai.