Agli enti ecclesiastici e alle analoghe strutture delle altre confessioni religiose la legge offre una nuova formula giuridica per la realizzazione delle proprie finalità. È l'impresa sociale, un organismo a metà tra un'associazione con scopi sociali e un'azienda commerciale. Se ne parlava sin dal 2002 come soluzione per superare la rigidità del codice civile che riconosceva la forma di società o di cooperativa solo per finalità di lucro. Molto spesso le iniziative degli enti religiosi nel campo della istruzione, della assistenza o della sanità sono state limitate dai vincoli imposti dalle norme societarie. La nuova impresa sociale non modifica il quadro giuridico ed organizzativo riconosciuto agli enti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato accordi o intese, ma si aggiunge come un'ulteriore opportunità di presenza nella vita sociale.
La legge definisce l'impresa sociale come una «organizzazione privata che esercita, in via stabile e principale, una attività economica, organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale».
I campi di attività consentiti si rispecchiano in quelli, di particolare rilievo sociale, in cui sono già presenti numerosi enti religiosi: assistenza sociale nell'ambito della legge quadro sui servizi sociali, assistenza socio-sanitaria, educazione, istruzione e formazione, turismo sociale, recupero della dispersione scolastica, formazione universitaria e post-universitaria, inserimento nel mondo del lavoro di persone svantaggiate e disabili.
Requisito essenziale dell'attività di impresa sociale è il divieto di distribuire utili e dividendi agli associati, agli amministratori, ai dipendenti o ai collaboratori. Da questo si deduce che la qualifica di impresa sociale può essere assunta sia da associazioni o fondazioni (senza scopi di lucro) sia da società commerciali ma non realizzando scopi di lucro. La stessa legge si preoccupa di chiarire che l'assenza di lucro si realizza quando gli utili e gli avanzi dell'esercizio sono interamente destinati alla gestione dell'attività statutaria o all'incremento del patrimonio.
In caso di chiusura dell'impresa, il patrimonio residuo è devoluto ad altri enti ecclesiastici, oppure onlus, associazioni, comitati o fondazioni.
Dipendenti. Ai dipendenti dell'impresa sociale (non meno del 30% devono essere disabili o svantaggiati) la legge garantisce un trattamento giuridico ed economico, in misura non inferiore a quella prevista dai contratti collettivi applicabili. Sono ammesse prestazioni di lavoro gratuito da parte di volontari, nei limiti del 50% dei lavoratori a qualunque titolo impiegati nell'impresa sociale. Tutti i lavoratori, compresi i volontari, hanno diritto all'informazione, alla consultazione e alla partecipazione all'impresa secondo i regolamenti aziendali.