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L'impresa "riformista" e il cavallo di Churchill

Francesco Delzio sabato 15 febbraio 2020
«Alcune persone vedono un'impresa privata come una tigre feroce da uccidere subito, altri come una mucca da mungere, pochissimi la vedono com'è in realtà: un robusto cavallo che traina un carro molto pesante» diceva Winston Churchill. È un affresco quanto mai rispondente alla realtà odierna del nostro Paese, immerso in una straziante stagnazione nella quale la politica appare inerte. E spesso perfino incapace di comprendere condizioni e meccanismi capaci di innescare lo sviluppo. In questo scenario il sistema imprenditoriale è obbligato ad interrogarsi sul ruolo da svolgere nella società, battendo sentieri "innovativi" e complessi che vadano oltre la mera gestione di conto economico e stato patrimoniale.
In questa direzione è molto interessante la lettura de «L'impresa riformista. Lavoro, innovazione, benessere, inclusione» (Egea), l'ultimo saggio di Antonio Calabrò, secondo cui «in una stagione di crisi delle democrazie liberali e delle relazioni tra democrazia e cultura di mercato, sarebbe riduttivo pensare all'impresa esclusivamente come ad una macchina che genera profitto». Per Calabrò l'impresa italiana (e non solo) ha di fronte a sé oggi una sfida inedita e ineludibile, che la proietta come attore protagonista sulla scena della comunità in cui opera: è già e dovrà essere sempre più "riformista".
Associare le imprese ad una categoria di pensiero tipicamente politica può sembrare fuorviante. Ma nella visione di Calabrò non indica la necessità di sostituirsi alle istituzioni e alla politica, bensì quella di porsi come «soggetto politico attivo, che vive nella società e che contribuisce a determinarne le trasformazioni». L'impresa, dunque, come (al tempo stesso) manifesto teorico e realizzazione pratica diffusa nella società di valori come la competizione, il merito, l'innovazione, l'inclusione, l'attenzione all'ambiente, la solidarietà. In visibile e orgogliosa controtendenza rispetto alla mentalità e all'abito culturale dominante nella classe politica. Un esempio per tutti: dopo la rottura del patto generazionale che si è consumata fin dagli anni Ottanta, l'impresa è uno dei pochi ascensori sociali rimasti attivi in Italia come generatore di opportunità per i capaci e i meritevoli.
Al contrario, i messaggi culturali che arrivano dalla politica sembrano indicare il lavoro come non-valore sostanzialmente equivalente alla rendita sociale (lo dimostrano le modalità d'introduzione del reddito di cittadinanza).
L'impresa "riformista" è una risposta interessante ed utile alla crisi di legittimazione e di risultati di questa classe politica. Perché il "cavallo" di Churchill possa liberarsi dei paraocchi e tracciare la strada a beneficio dell'intera comunità.
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@FFDelzio