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L'export profuma di bergamotto

Andrea Zaghi sabato 8 gennaio 2011
È uno dei simboli " poco conosciuti " della nostra buona agricoltura e, in questi giorni, può costituire una sorta di mascotte per il 2011 agricolo, insieme ai dati dell'export. Perché il bergamotto è proprio questo: un agrume coltivato in una limitatissima area dello Stivale (parte della provincia di Reggio Calabria), che, dopo un periodo difficile, sembra tornare alla ribalta come uno dei prodotti più esportati dell'agricoltura nazionale e che proprio nel 2011 dovrebbe trovare più di una conferma di mercato.
Stando ai dati del Consorzio di Tutela (che commercializza il 40% del raccolto per un valore pari a 1,5 milioni di euro), oggi questo agrume è coltivato solo su circa mille ettari di terreno a causa di una crescente disaffezione, ma l'idea è che in breve tempo si possa arrivare a 3-4mila creando uno strumento importante per la crescita dell'economica locale. Perché questo prodotto è pressoché unico come quasi unico è il territorio dove può essere coltivato. L'altra zona del mondo in cui viene ottenuto, infatti, è solamente la Costa d'Avorio che arriva a produrre 7-8mila chilogrammi all'anno contro i 100mila della Calabria. E si potrebbe fare di più, visto che il bergamotto è uno dei componenti privilegiati dell'industria profumiera internazionale. Senza contare che grazie alle sue proprietà antisettiche e antibatteriche, il bergamotto viene impiegato anche nell'industria farmaceutica e alimentare. A conti fatti, quasi il 100% dell'olio essenziale (che dal 2001 è dotato della Dop) viene esportato. Tutto merito della qualità del prodotto e, soprattutto, del fatto che solo in virtù di uno straordinario clima il bergamotto può essere coltivato solo in quell'area e con così grandi risultati. Anche se i problemi non mancano: la necessità di una migliore commercializzazione, quello dell'allargamento controllato della base produttiva. Ma la speranza di fare di più e meglio è grande. Così come lo è per il resto dell'agroalimentare di qualità.
Sono quindi consolanti le indicazioni che arrivano dall'Ismea (l'istituto di ricerca che segue l'andamento dei mercati agricoli e alimentari). Nel 2010 è ripartito sia l'export agroalimentare sia quello delle materie agricole, soprattutto per le buone prestazioni di Paesi come Germania e Stati Uniti, tradizionalmente acquirenti dell'Italia; con segnali incoraggianti anche da India e Cina. Certo, rimane il problema enorme della contraffazione, ma sono andate bene le vendite dei vini, dell'olio ed è ripartito il comparto ortofrutticolo. Ma non mancano i punti bui come la debolezza generale del settore, l'eccessiva frammentazione oltre che uno squilibrio all'interno della filiera a vantaggio della commercializzazione. Eppure è dagli aspetti positivi che occorre ripartire. E forse ha ragione il ministro Giancarlo Galan: «Guardiamo al nuovo anno con rinnovata fiducia, dal nostro lavoro dipende il futuro del sistema agricolo italiano e quindi di 1,7 milioni di aziende e di oltre 4 milioni di persone».