L'Expo ha per tema il cibo. Temo la retorica di questi argomenti. Il cibo per dimagrire, per conservarsi longevi il più possibile, salvo poi inventare formule di vecchicidio. Il cibo come arredo: balconi per simularci un orto, case per mescolare il verde, sementi per soli ricchi i cui frutti non daranno ulteriori semi per gli anni successivi ma sementi come elettrodomestici, progettate per essere spazzatura ad ogni fruttificazione. Il criterio è che se compro la crusca per alimentare il maiale che allevo, la pago un prezzo stabilito, ma se la stessa crusca serve per alimentare un diabetico quale sono io, il prezzo diventa un lusso poco accessibile al diabetico di cui sopra. In effetti, tra fiera ed Expo, se penso alle loro architetture, sono delle serre che temo diventeranno magazzini infiniti della logistica dell'accavallamento dei popoli, ormai inestricabili. L'Expo è il momento estremo dei corpi viventi (30 milioni di visitatori) che si intrecciano con i prodotti. Ecco la grande differenza fra l'Expo di Parigi di fine 800 e la nostra. Quella fu il trionfo dell'umanità che asserviva i suoi prodotti. Questa, il trionfo dei prodotti che dominano l'umanità suddita. È la svolta del realismo terminale. Forse è l'occasione per pensarci su.