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L'Europa sterile dei leader senza figli

Fabrice Hadjadj domenica 28 maggio 2017

È interessante fermarsi a riflettere su un tratto comune dell'attuale classe dirigente europea e chiedersi se questo sia un fatto accidentale o caratteristico: Emanuel Macron, presidente della Repubblica francese non ha avuto figli - può succedere purtroppo! - ma neanche la cancelliera tedesca Angela Merkel, il primo ministro britannico Theresa May, il presidente del consiglio italiano Paolo Gentiloni, il premier dei Paesi Bassi Marc Rutte, quello svedese Stefan Löfven, il lussemburghese Xavier Bettel, la presidentessa della Scozia Nicola Sturgeon e infine neppure Doris Leuthard, presidentessa della Confederazione elvetica. In mezzo a tutti questi childfree, probabilmente per non incorrere nel rischio di illegittimità, neppure il presidente della commissione europea, Jean-Claude Juncker ha avuto figli o figlie. Le circostanze e le motivazioni non sono le stesse da un leader all'altro: May ha raccontato della sua sofferenza di non essere stata madre, Macron scavalca allegramente la sua scelta di non aver figli parlando della sua felicità come nonno acquisito (è che i figli di sua moglie hanno pressappoco la sua stessa età). Tuttavia, al di là dei desideri degli uni e degli altri, il fenomeno è troppo generale per non essere un segno dei tempi. Con tutti questi casi simili non si tratta più di un'eccezione, ma di una regola, se non espressa o volontaria, per lo meno vissuta: il padre deve cedere il posto all'esperto, e per potersi dedicare interamente alla sua perizia è meglio per quest'esperto di non essere disturbato da un piagnone che non gli ubbidisce come fa il suo tablet. Anche quando tale sterilità è subita, essa è ancora, almeno in parte, caratteristica della configurazione del mondo industriale e dei suoi stili di vita che favoriscono il consumatore individuale e dei suoi agenti chimici (steroidi, bisfenoli, ftalati, ecc.) che moltiplicano i disturbi endocrini favorendo l'infertilità. Certo, non si può rimproverare ai nostri dirigenti la loro mancanza di “filosofia”. La maggior parte dei grandi filosofi - Platone, Kant, Nietzsche…- li ha preceduti nel No-kidding… Addirittura i greci antichi talvolta giudicavano che la pederastia predisponeva meglio agli alti impieghi dello stato, non solo perché liberava dalle preoccupazioni del padre di famiglia, ma anche perché si fondava su una certa emulazione virile. Quanto a Malthus e i suoi successori, essi ci hanno permesso di capire che la coscienza ecologica consiste nell'uccidere la natura in noi e nel non dare la vita: per evitare il suicidio del “pianeta” è meglio vasectomia. C'è poi anche la prospettiva che sembra colpire più specialmente l'Italia cattolica - il culto del bambin Gesù solo nel suo presepio conduce all'idea del bambino-re, del bambino a cui bisogna fornire le migliori condizioni di vita e risparmiare al massimo la sofferenza (contrariamente a Cristo, del resto, che chiama “Satana” quelli che avrebbero simili buone intenzioni al suo riguardo): l'ideale del bambino-re conduce alla realtà del figlio unico, con la stessa forza della politica cinese, e perfino, perché no, al figlio inesistente che è il solo figlio senza drammi né sofferenza (il lettore avrà compreso che questo figlio ideale e perfetto può anche corrispondere a un cane o un gatto). Comunque sia, è completamente normale che una popolazione europea destinata prossimamente all'estinzione dai suoi tassi di natalità scegliesse un leader che è parte di questa sparizione. E tuttavia Maimonide, probabilmente perché è molto ebreo e non abbastanza filosofo, afferma che non può essere magistrato chi non è padre. Per sedere nel Sinedrio, dice, occorrono saggezza, intelligenza e compassione; ora, per acquistare tali virtù in modo che siano concrete e si iscrivano nell'ordine naturale, bisogna avere figli (potrebbe essere diverso per l'ordine soprannaturale, ci sono una paternità o maternità spirituali che non sono meno reali nella grazia). L'uscita dall'ideologia e il realismo pratico passano attraverso l'esperienza del maestro che è ammirato dai suoi pari e adulato dai suoi discepoli, ma che non è ascoltato a casa sua; o attraverso quella dell'uomo che ha lavorato per l'interesse comune tutto un giorno, e che deve alzarsi nel cuore della notte per vegliare suo figlio malato (mentre ha voglia di dormire, tanto da dover lottare contro una pulsione infanticida). Ecco qualcosa che in effetti dà una certa comprensione degli uomini. Péguy è d'accordo col pensatore ebreo. Secondo lui, il padre di famiglia è più politico del politico, perché ha la preoccupazione di un tempo che non sarà più il suo, ma quello della sua discendenza: «È assalito dagli scrupoli, straziato dai rimorsi, a priori, (di sapere) in che città di domani, in quale ulteriore società, in quale dissoluzione di tutta una società, in quale miserabile città, in quale decadenza, in quale decadenza di tutto un popolo lasceranno, consegneranno, domani, stanno per lasciare, entro qualche anno, il giorno della morte, quei figli di cui i padri si sentono così pienamente, così assolutamente responsabili, di cui sono temporalmente i pieni autori. Quindi per loro nulla è indifferente. Niente di quello che succede, niente di storico è per loro indifferente». È qui che si pone una domanda molto seria: come possono presiedere sistematicamente al futuro dell'Europa delle persone che non vi sono implicate carnalmente? È tuttavia vero che ciò non pone nessun problema dal momento che questo futuro non è più quello degli uomini, ma dei robot.