L'Europa illuminista sfidata dal caso Alfie: è vero progresso?
Vediamo perché. In principio era la lotta all'oscurantismo, ai cascami dei cosiddetti "secoli bui". Secondo cliché storiografici mille volte confutati eppure duri a morire, l'idea di uomo da superare era quella medievale, troppo preoccupato di disprezzare "la materia" - l'equivocatissimo contemptus mundi - fuggendo dalla storia e rinunciando alle gioie terrene. Per fortuna, recita la vulgata tuttora corrente, arrivarono Umanesimo e Rinascimento a rimettere le cose a posto, restituendo alla "carne" i suoi diritti. Poco importa se quelle due splendide epoche non ci sarebbero mai state senza i secoli "di mezzo" che le avevano precedute, come ci insegnò già a inizio '900 Johan Huizinga.
Infine, sopraggiunse il pensiero illuminista, a demolire quel che restava di pregiudizi e ubbie religiose sul destino dell'uomo, irresistibilmente votato a "magnifiche sorti e progressive", purché libero da qualunque fede soprannaturale. Da allora certo non sono mancati, nelle vicende storiche successive, "incidenti di percorso": guerre, colonialismi, ideologie totalitarie, genocidi spietati, stragi accuratamente pianificate, terrorismo. Di qui, a partire soprattutto dall'Occidente europeo, un crescente ripiegamento nichilista, e via via sempre più individualista, che oggi tocca i suoi vertici. Tanti nostri contemporanei, almeno da questa parte del pianeta, professano una sola nuova religione: quella del benessere a tutti i costi, del rifiuto di qualsiasi limite al proprio piacere e ai propri desideri, dell'eliminazione di chiunque ne minacci il compimento. A cominciare dalle vite dei più deboli e indifesi: anziani, malati, bimbi disabili, profughi.
Le ricadute giuridiche di questo modo di pensare sono ormai entrate nelle legislazioni dei singoli Paesi e trovano silenziosa copertura nella giurisprudenza comunitaria, come ha dimostrato la mancata risposta della Corte europea dei diritti umani agli appelli dei coniugi Evans. La storia struggente di Alfie e dei suoi genitori, a dire il vero, ha suscitato un moto collettivo di solidarietà e forse ha indotto molti a porsi domande finora accuratamente evitate.
Ma è necessario che la riflessione non rimanga a livello epidermico o solo emotivo. Bisogna andare in profondità, portando alla luce il paradosso di un'ideologia individualista, che ha le sue radici culturali nella presunzione di "liberare" l'uomo, di valorizzarlo, di dargli piena dignità. Ma che poi, senza accorgersene, finisce con il negargli la forma più elementare di dignità, il suo valore basilare, il diritto a vivere senza che una qualche entità superiore stabilisca se la sua vita è ancora "utile" o se è diventata "futile", magari in base a puri criteri economici.
Ecco la "nemesi" che i fatti di Liverpool hanno messo in evidenza e che i pronipoti del razionalismo illuminista europeo sono chiamati a meditare. Riducendo l'uomo alla sola dimensione orizzontale, costringendolo al culto del proprio "io" anche a costo della vita altrui ("Gli altri sono l'inferno", secondo il duro paradosso di Sartre), pongono le basi per una nuova tirannia che sarà molto più difficile da contrastare perché non si impone dall'esterno, ma aggredisce l'uomo dal suo stesso interno. E così si finisce con il cadere, stavolta sì, in un drammatico "evo" oscurantista, in una temperie anti-umanista che distrugge le basi stesse della convivenza civile e del progresso. E che mina alla radice ogni prospettiva comunitaria, a cominciare da quella europea.