Accompagnato da una foto fin troppo esteticamente curata, con l'ultimo numero dell'Espresso ci arriva la notizia che compare ora sulla scena un nuovo e giovane filosofo tedesco, Gunnar Hindrichs: chioma fluente, completo blu, camicia candida, gote scrupolosamente rasate. Insomma, un giovane uomo molto perbene, o una specie di top manager non contaminato né da ribellismi né da stravaganze. Il titolo dell'intervista (dovuta a Stefano Vastano), che ci presenta il nuovo pensatore, è “Benvenuti nell'età dell'invidia”. Si dice invidia, ma si potrebbe dire altro: rabbia, odio, paura, eccetera. Hindrichs ha appena pubblicato dall'editore Suhrkamp (definito decenni fa l'Einaudi tedesco) il saggio Filosofia della rivoluzione, che si conclude con queste righe: «Oggi non c'è più alcuna rivoluzione all'orizzonte e manca ogni senso della trascendenza. Per questo siamo in preda ad una confusa spirale di diversi estremismi». Non si stenta a crederlo. Dagli anni Ottanta all'inizio degli anni Novanta, scrissi alcuni brevi saggi (non so o non voglio scrivere libri) poi raccolti nel pamphlet Stili dell'estremismo (2001). E l'idea di rivoluzione ha assillato diverse generazioni di europei, ultima la mia, quella del '68. Da allora ne diffido, per ragioni che potrebbero sembrare futili ma non credo che lo siano. Avendo assistito, tra il 1965 e il 1980, alla “recita” di una rivoluzione anarco-leninista in Occidente, mi parve di capire all'improvviso la cosa ovvia, con l'aiuto di Aleksandr Herzen e di Orwell: e cioè che la rivoluzione, più che una grande e nobile idea, è una cosa reale precisa, la cosa che fanno i rivoluzionari. Per capire che cos'è una rivoluzione e come andrà a finire, bisogna studiare che tipi di uomini vogliono farla, guardarli in faccia e sentire come parlano. «Rivoluzione è la magia dell'inizio», dice Hindrichs, è l'intenzione di fondare una prassi sociale interamente nuova. E questo, direi, come se il genere umano o un intero popolo volesse fermamente rinascere a un diverso e superiore modo di essere, tutti insieme, nello stesso modo e nello stesso tempo. Oggi, come in tutto il XX secolo, gli estremismi sia estetici che filosofici e politici covano sotto la cenere e ogni tanto si infiammano. Allora ci furono i futuristi e i bolscevichi, i fascisti e i surrealisti, l'arte astratta di Mondrian e l'ontologia di Heidegger, l'antiromanzo e l'action painting, le droghe come libertà, i movimenti spontanei di massa, i gruppi terroristici. Oggi ci sono il terrorismo da guerra santa e i populismi xenofobi, l'abolizione di paternità e maternità, la liberazione escatologica dell'essere sociale indeterminato (vedi Agamben) contro il cosiddetto Impero (vedi Negri). Ma c'è ormai un estremismo più grandioso. Una volta gli ecologisti volevano proteggere la Natura, oggi le maggioranze preferiscono liberarsene una volta per tutte. Come ci si libera di un fastidio inutile, repressivo, innaturale.