L'ESILIO
Quest'oggi ho lasciato voce a un mio amico, caro e stimato da molti, il vescovo e teologo Bruno Forte. Queste sue parole colgono una profonda verità, la cui semplicità la rende spesso disattesa e ignorata. L'uomo di oggi, soprattutto, ha perso il gusto delle grandi attese, degli interrogativi radicali, degli ampi orizzonti. La perdita di questa nostalgia dell'infinito da cui proviene e a cui è destinato lo rende meschino, curvo sulle piccole cose, sulle modeste mete, sulle recriminazioni davanti a ogni minimo ostacolo, pronto a dare le dimissioni di fronte a una vita che può essere una scalata.
Aveva ragione lo scrittore moralista francese secentesco La Rochefoucauld quando dichiarava: «Chi si dedica troppo alle piccole cose diventa incapace delle grandi». In molti c'è ormai l'abitudine all'esilio, stanno bene nella banalità di un'esistenza priva di fremiti e di tensione, non attendono più un "oltre", cioè una meta più alta, una destinazione che non sia solo una qualsiasi stazione di passaggio. In loro non crea più emozione la ricerca interiore e umana, il loro sguardo non si leva più " come aggiunge mons. Forte " verso «il cielo del desiderio e della speranza». Ritroviamo, allora, in noi il lievito evangelico della fiducia, la nostalgia per un orizzonte più vasto e più luminoso.