Qualcuno di noi lo fa di nascosto. Ma è bello sapere di non essere soli. Decine di migliaia di adulti in Italia leggono regolarmente Topolino. Abbiamo scoperto di far parte di questa setta pericolosamente ingenua in questi giorni, in occasione dei 70 anni dell'edizione italiana del fumetto più antico e moderno che esista. Che resiste, oltre le mode e il tempo che passa: forse proprio perché è antico - e quindi confortante - nel modo semplice e fiabesco di porsi dei suoi personaggi, nell'umorismo scanzonato, nella sua regola ferrea dei buoni sentimenti che vincono sempre su tutto e tutti. Ma è anche moderno perché sa rinnovarsi, non scade, non annoia. Non impegna, soprattutto. Dobbiamo vergognarci per questo? O meglio, dovremmo sentirci stupidi se sorridiamo ancora davanti a una battuta strampalata di Pippo? Dobbiamo pensare di non essere nel pieno possesso delle nostre capacità mentali se ammettiamo di aver imparato ad amare i nostri difetti identificandoci in Paperino? O a riconoscere grazie a Paperone che dietro un vecchio burbero c'è spesso un uomo buono? Certamente no. I suoi personaggi sono eterni, e rappresentano gli stereotipi di quello che siamo, i vizi e le debolezze, persino la genialità. Eppure: «ma dove l'hai letto, su Topolino?» è stato da sempre lo slogan usato per dare dell'ignorante al proprio interlocutore. E la regola sociale che fa apparire fuori luogo la prevalenza dei ricordi sui sogni, del rimpianto sulla speranza e del passato sul futuro, vorrebbe relegare noi tifosi di Paperoga nel recinto dei puerili, definitivamente condannati alla sindrome di Peter Pan. Non c'è solo nostalgia invece. Certo, chi legge da adulto un fumetto per ragazzi, lo fa anche per non dimenticarsi chi era e quello che c'era. Ma se si è innamorato del topo intelligente, saggio ed equilibrato che cerca giustizia e aiuta il commissario Basettoni a catturare i cattivi, lo ha fatto e continua a farlo perché - oggi come quando era bambino - crede ancora in un mondo migliore. Che non ha bisogno di eroi, o di chi eroe lo diventa su un autobus solo per aver fatto la cosa migliore e più logica nella peggiore delle circostanze. Topolino invece non è catalogabile: non è un ragazzo e nemmeno un anziano, non è Superman, non è invisibile, non ha poteri magici, non vola da un palazzo all'altro, non giudica ma agisce, non si fa usare ma si fa leggere fino in fondo. Topolino è un personaggio di fantasia in una città di fantasia, che fa il suo dovere ogni giorno. Leale, trasparente, semplice. In un contesto irreale, ma serenamente vivibile, dove il male al massimo è quello di Gambadilegno o della Banda Bassotti, che non fa male veramente. Per questo è il nostro vero, unico eroe. Esageriamo? Forse, ma lo facciamo per reazione. Per anni nelle scuole di giornalismo ci hanno insegnato che sui quotidiani bisogna raccontare l'uomo che morde il cane, ma oggi è il cane che morde l'uomo la vera notizia. Perché in un mondo di esibizionisti violenti e isterici che hanno reso rivoluzionario il buon senso, essere normali sta diventando qualcosa di eccezionale. Ci voleva un sorcio con le orecchie grandi per ricordarcene. Per riflettere sul fatto che l'eroismo è una cosa seria, è il gesto di una persona che sacrifica se stessa per salvare altri. Ma è anche il gesto di alzarsi tutti i giorni per andare a lavorare e dare un futuro alla propria famiglia. È l'impegno di fare bene il proprio mestiere anche quando nessuno ti guarda. È continuare a vivere nonostante un dolore, è aiutare nel silenzio. È essere Topolino in un mondo di giganti invadenti. Noi adulti leggevamo i fumetti in un'epoca in cui ci chiedevamo cosa sarebbe successo quarant'anni dopo, ora invece ci chiediamo cosa è successo quarant'anni fa per avere ancora voglia di Pluto, Minni e Qui, Quo, Qua. In mezzo a loro non c'è tempo, non c'è violenza né politica. E l'irrealtà dell'innocenza ci fa sentire migliori. Ma se dobbiamo decidere tra leggere indietro o guardare avanti, preferiamo non scegliere. E andare a sfogliare un'altra storia, che a Paperopoli come a Topolinia non delude mai.