Credo che noi andiamo imparando piano piano, ora con maggiore fatica, ora più serenamente, l'arte del commiato. Di questa arte ho appreso qualcosa dal poeta Tonino Guerra e da sua moglie. Pare trattarsi di una tradizione russa (o, per lo meno, loro la spiegavano così): prima di partire, rimanevamo l'uno accanto all'altro, per alcuni istanti, in puro silenzio. E poi ci congedavamo in un modo leggero, quasi allegro, come se non stessimo per assentarci realmente l'uno dall'altro. Quegli istanti di silenzio, però, avevano allacciato i nostri cuori con una forza che solo rare parole potrebbero avere. Quando, negli addii della vita, ci pare sia inevitabilmente rimasto qualcosa, o quasi tutto, da dire, è bello pensare a quello che ha detto il silenzio, lungo il tempo, da cuore a cuore. Forse, quello che di più significativo noi siamo in grado di condividere con gli altri non trova, nel mondo, linguaggio migliore del silenzio.
Ora, anche quando non ce ne rendiamo conto, noi stiamo sempre accomiatandoci. E questo è un dono meraviglioso. È la vita che ce lo dà. Ci vediamo, gli uni gli altri, partire e ritornare, diciamo "arrivederci" e "ciao" con la fiducia che nulla s'interrompe, torniamo a udire mille volte le voci di quanti amiamo, in tal modo prolungando lo straordinario, l'interminabile incontro in cui consiste, in fondo, la nostra esistenza.