Gli uomini del vino hanno cent'anni. È proprio così, visto che l'11 gennaio e il 13 gennaio del 1918 sono nati due personaggi che hanno dato a loro modo un impulso al mondo del vino come lo conosciamo oggi. L'11 gennaio nasceva Gianfranco Miglio, meglio conosciuto come politologo e per me preside della Facoltà di Scienze Politiche all'Università Cattolica; il 13 febbraio è il giorno di Paolo Desana, il padre delle Doc, la cui legge fu approvata il 12 luglio del 1963, sanando un ritardo di almeno trent'anni sui cugini francesi. Che Miglio fosse legato al vino lo scoprii quando volle fare il controrelatore della mia tesi di laurea sul mercato del vino in Italia, nell'ottobre del 1985. Ma proprio quest'anno il figlio Leo ha dato alle stampe il libro Civiltà del vino sul Lago di Como, dove è racchiusa tutta la passione di questo uomo per un prodotto che aveva radici culturali profonde. Ricordo le prime interviste, l'anno dopo la laurea, sulla rivista Vigne&Vini dove lui parlava della necessità dell'accorpamento fondiario nelle zone eroiche, come il suo Alto Lario che guarda la Valtellina, a Domaso. Paolo Desana lo conobbi negli stessi mesi, quando scoppiò lo scandalo del vino al metanolo e lui era arrabbiato perché nei convegni si diceva che la strada era far diventare Doc il numero più alto possibile di vini. Era il padre delle Doc, di una legge che aveva impostato sul modello francese, anche se poi venne fuori un ibrido che ancora ci portiamo appresso, come il nome legato al vitigno (ad esempio Sangiovese e Barbera) e non al terroir (come Barolo o Borgogna). Nel primo caso, il futuro ha portato a imitazioni e litigi. Ma tant'è - diceva Desana - la Doc era una medaglia e per i politici di allora sembrava un veicolo di consensi. Cosa c'entrasse poi col mercato non lo sapeva spiegare nessuno. Certo, dopo oltre 50 anni da quella legge, le Doc si sono moltiplicate e a dire il vero anche complicate. Alcune denominazioni sono sconosciute, come ad esempio la Doc Cisterna (nomen omen) o di valli e zone che difficilmente sono collocabili in una regione. La fobia di mettere un cappello per dare una patente di qualità, insomma, non s'è fermata, anche se poi hanno prevalso, in alcuni casi, i brand aziendali. Che sono un po' come i personalismi in politica: sembrano funzionare, ma dietro non c'è quasi nulla. Occorre invece fare sempre di più massa critica, salvando la distinzione dentro un'etichetta riconoscibile. Il tempo è stato tiranno, perché avrei voluto mettere insieme quei due uomini del 1918, italiani emersi da un dopoguerra e pronti a progettare. Con la politica, che era uno strumento con un accento nobile di costruzione. Non rimane che rileggere i loro atti, o andare a Casale, il 13 gennaio, al convegno dedicato al padre della Doc. Dai padri c'è sempre qualcosa da imparare. E questo vale anche per i figli della nuova politica.