Che tristezza leggere su Il Foglio (mercoledì 11) il trafiletto di C.L., cattolico noto come tradizionalista il quale per contestare il salvataggio dalla morte in mare e l'accoglienza che l'Italia riserva agli immigrati, rovescia l'insegnamento di Gesù sui più deboli e i più poveri descritto nel capitolo XV del Vangelo di Matteo. Questo signore prende sul serio una grossa sciocchezza che nel 1975 Sergio Quinzio scrisse a Guido Ceronetti e che ora è contenuta in un carteggio appena pubblicato. Eccola: «Anche per Gesù il precetto di amare il prossimo vale solo in riferimento a coloro che sono prossimi nella stessa comunione, stesso popolo, stessa fede. Nei Vangeli non si parla certo di un amore universale esteso a tutti gli uomini». Anzi - scrive ancora C. L. - Cristo «chiama cani gli infedeli e compie un miracolo a favore di uno di questi, ma solo a seguito della sua conversione». E per che cos'altro il Figlio di Dio fattosi uomo si sarebbe sacrificato se non per un amore universale? E la parabola del Samaritano, il servo del Centurione, l'incontro con la Samaritana al pozzo (stranieri, pagani ed eretici) che cos'altro significherebbero se non la medesima cosa? L'episodio citato è quello della Cananea che chiede a Gesù la salvezza della figliola e riceve una duplice risposta: l'affermazione che la missione di Cristo era limitata a Israele per lasciare ai suoi seguaci il resto del mondo, e l'uso di un proverbio che i Giudei applicavano ai Gentili ("Non è bene dare ai cagnolini il pane dei figli"). Con tutta evidenza un modo per smentire il proverbio e mettere alla prova la donna, che infatti replica con saggezza e fede e ottiene ciò che vuole. Ma ecco la meschina "morale" utilitaria del tradizionalista: «Dagli Italiani in divisa e in borghese si pretendono miracoli, moltiplicazioni di pani, pesci e centri d'accoglienza e stavolta senza niente in cambio: né conversione né assimilazione, nulla. Insomma agli Italiani si sta chiedendo di essere più santi e più potenti di Cristo; soltanto al diavolo poteva venire in mente una richiesta simile». No, è il signor C. L. che deve stare attento al diavoletto che si nasconde sotto la sua sedia quando legge il Vangelo.DIVENTEREMO MULTITEISTI?«Alle radici dell'intolleranza sono i credi monoteisti»: questa è la tesi che il filologo Maurizio Bettini, Università di Siena, sostiene in un libro recensito sull'Unità (domenica 8). Molto meglio, scrive, l'antico politeismo dei pagani: «Duemila anni di monoteismo ci hanno abituato a ritenere che Dio non possa essere se non unico, esclusivo. Al contrario il politeismo antico prevedeva la possibilità di far corrispondere fra loro dèi e dèe appartenenti a culture diverse, ovvero di accogliere nel proprio pantheon divinità straniere. È possibile attingere oggi alle risorse del politeismo per rendere più agevoli e sereni i rapporti fra le varie religioni». Che dire? Che quando ci sono tanti dèi, uno in più o uno in meno non fanno gran danno. Senonché già siamo diventati multietnici, multietici, multilingue, multiculturali, condizioni che ci creano non pochi problemi e non è il caso di diventare anche multiteisti: dovremmo conoscere la specialità di ciascuno dio e scegliere a chi rivolgersi. Molto meglio mantenere la nostra "abitudine": un Dio solo per tutti, com'è anche logico.DIMENTICANZEA volte gli scienziati perdono davvero il tempo. A Londra - riferisce con partecipazione La Stampa (lunedì 9) - una giuria scientificaha fatto un esame ad alcuni computer trovando che uno di essi «supera il test di Turing sull'intelligenza»: sembrava un uomo. Si sono dimenticati di pensare che quel computer l'aveva inventato un uomo.