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L'amore per i nemici insegnato dal Vangelo non vuole niente in cambio

Pier Giorgio Liverani domenica 15 giugno 2014
Che tristezza leggere su Il Foglio (mercoledì 11) il trafiletto di C.L., cattolico noto come tradizionalista il quale per contestare il salvataggio dalla morte in mare e l'accoglienza che l'Italia riserva agli immigrati, rovescia l'insegnamento di Gesù sui più deboli e i più poveri descritto nel capitolo XV del Vangelo di Matteo. Questo signore prende sul serio una grossa sciocchezza che nel 1975 Sergio Quinzio scrisse a Guido Ceronetti e che ora è contenuta in un carteggio appena pubblicato. Eccola: «Anche per Gesù il precetto di amare il prossimo vale solo in riferimento a coloro che sono prossimi nella stessa comunione, stesso popolo, stessa fede. Nei Vangeli non si parla certo di un amore universale esteso a tutti gli uomini». Anzi - scrive ancora C. L. - Cristo «chiama cani gli infedeli e compie un miracolo a favore di uno di questi, ma solo a seguito della sua conversione». E per che cos'altro il Figlio di Dio fattosi uomo si sarebbe sacrificato se non per un amore universale? E la parabola del Samaritano, il servo del Centurione, l'incontro con la Samaritana al pozzo (stranieri, pagani ed eretici) che cos'altro significherebbero se non la medesima cosa? L'episodio citato è quello della Cananea che chiede a Gesù la salvezza della figliola e riceve una duplice risposta: l'affermazione che la missione di Cristo era limitata a Israele per lasciare ai suoi seguaci il resto del mondo, e l'uso di un proverbio che i Giudei applicavano ai Gentili ("Non è bene dare ai cagnolini il pane dei figli"). Con tutta evidenza un modo per smentire il proverbio e mettere alla prova la donna, che infatti replica con saggezza e fede e ottiene ciò che vuole. Ma ecco la meschina "morale" utilitaria del tradizionalista: «Dagli Italiani in divisa e in borghese si pretendono miracoli, moltiplicazioni di pani, pesci e centri d'accoglienza e stavolta senza niente in cambio: né conversione né assimilazione, nulla. Insomma agli Italiani si sta chiedendo di essere più santi e più potenti di Cristo; soltanto al diavolo poteva venire in mente una richiesta simile». No, è il signor C. L. che deve stare attento al diavoletto che si nasconde sotto la sua sedia quando legge il Vangelo.DIVENTEREMO MULTITEISTI?«Alle radici dell'intolleranza sono i credi monoteisti»: questa è la tesi che il filologo Maurizio Bettini, Università di Siena, sostiene in un libro recensito sull'Unità (domenica 8). Molto meglio, scrive, l'antico politeismo dei pagani: «Duemila anni di monoteismo ci hanno abituato a ritenere che Dio non possa essere se non unico, esclusivo. Al contrario il politeismo antico prevedeva la possibilità di far corrispondere fra loro dèi e dèe appartenenti a culture diverse, ovvero di accogliere nel proprio pantheon divinità straniere. È possibile attingere oggi alle risorse del politeismo per rendere più agevoli e sereni i rapporti fra le varie religioni». Che dire? Che quando ci sono tanti dèi, uno in più o uno in meno non fanno gran danno. Senonché già siamo diventati multietnici, multietici, multilingue, multiculturali, condizioni che ci creano non pochi problemi e non è il caso di diventare anche multiteisti: dovremmo conoscere la specialità di ciascuno dio e scegliere a chi rivolgersi. Molto meglio mantenere la nostra "abitudine": un Dio solo per tutti, com'è anche logico.DIMENTICANZEA volte gli scienziati perdono davvero il tempo. A Londra - riferisce con partecipazione La Stampa (lunedì 9) - una giuria scientificaha fatto un esame ad alcuni computer trovando che uno di essi «supera il test di Turing sull'intelligenza»: sembrava un uomo. Si sono dimenticati di pensare che quel computer l'aveva inventato un uomo.