«Questa è una cosa importante, che ho detto a molte persone, e che mio padre disse a me, come il suo a lui. Quando incontri un’altra persona, quando hai a che fare con una persona qualsiasi, è come se ti venisse posta una domanda. Allora devi pensare: Che cosa mi chiede il Signore in questo momento, in questa situazione? Se ti trovi davanti all’offesa o alla rivalità, il tuo primo impulso sarà di ripagare alla stessa moneta, ma se pensi, per così dire, “Questo è un inviato del Signore”, e mi aspetta qualche beneficio, in primo luogo la possibilità di dimostrare la mia lealtà, l’occasione di far vedere che partecipo in una certa misura, per quanto piccola, alla grazia che mi ha salvato, allora sei libero di comportarti in maniera diversa da quello che le circostanze sembrerebbero imporre».
Così si esprime la voce narrante di Gilead (Einaudi), il più noto romanzo della scrittrice americana (cristiana protestante) Marilynne Robinson. Queste righe di John Ames, il reverendo protagonista del libro, sembrano riecheggiare il pensiero filosofico di Emmanuel Lévinas, il pensatore ebreo che nel «volto dell’Altro» aveva individuato la sorgente di un’originale proposta speculativa, che diventava anche una prospettiva morale. Ogni “altro” è per noi una domanda. Che ci interpella e ci fa uscire dai nostri facili pregiudizi preconfezionati.
© riproduzione riservata