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L'altra faccia di Bill Gates è piena di cicatrici di carta

Umberto Folena giovedì 20 maggio 2021
Per non veder crollare fragorosamente gli idoli, esiste un solo sistema: non erigerli. Ma se l'idolo si è eretto da sé? Come Bill Gates, il geniaccio nerd di Seattle, straricco ma generoso a tal punto di creare una Fondazione per la lotta alla malaria (dimezzata!), matrimonio senza ombre finché… Tutti gli idoli hanno almeno una crepa. E il divorzio ha sollevato un velo, due veli, tutti i veli. «Amanti, amicizie pericolose, rapporti inappropriati con le dipendenti – scrive Anna Guaita sul “Messaggero” (18/5). – A indagare sul passato di Bill non sono solo i tabloid, ma anche giornali paludati come il “New York Times” e il “Wall Street Journal” (...). Indagare sul carattere di Bill non è più solo considerato giornalismo piccante, ma informazione necessaria per i mercati e l'economia». «Le scappatelle», sintetizza il “Tempo” (18/5). «Tresche e avances» gli fa eco il “Giornale” (18/5). Conferma Paolo Mastrolilli inviato a New York (“Stampa”, 18/5): «Alla fine, la crisi matrimoniale tra Bill Gates e Melinda French potrebbe avere la spiegazione più antica del mondo: l'infedeltà». E un'altra inviata a New York, Anna Lombardi (“Repubblica”, 18/5), chiosa: «Altro che filantropia». Certo stupisce che una persona tanto intelligente possa aver commesso simili sciocchezze. Annota Matteo Persivale (“Corriere”, 18/5): «Anche un uomo che ha passato la vita a impressionare gli interlocutori per la capacità sovrumana di ricordare, analizzare, sintetizzare dati, “the smartiest guy in the room”, può comportarsi a volte come l'uomo più stupido del mondo». Ma proprio per questo l'idolo ridimensionato a essere umano a Massimo Gramellini (“Corriere”, 18/5) non dispiace, anzi: «Confesso che il Bill Gates accessoriato di doppia vita mi sta per la prima volta simpatico. Non è un santo, e neanche un santino, ma un povero cristo come tanti, solo molto più ricco, intelligente e fortunato della media. La prova che ciascuno ha un travaglio dentro di sé e per questo non è da giudicare. Semmai da compatire».