Un altro primato nonostante tutto. Stando agli ultimi dati, le vendite all'estero di prodotti agroalimentari italiani hanno raggiunto nel 2020 il valore di 46,1 miliardi di euro. Un risultato eccezionale, raggiunto a dispetto della pandemia e della crisi economica conseguente. Diete mediterranea (e di fatto italiana), sugli scudi, quindi. Anche se è vietato accontentarsi di quanto raggiunto fino ad oggi. I numeri dicono tutto. L'aumento delle esportazioni agroalimentari nazionali è stato dell'1,8% in netta controtendenza al crollo generale del 9,7%. A primeggiare, pare siano stati particolari prodotti come le conserve di pomodoro (+17%), la pasta (+16%), l'olio di oliva (+5%) e frutta e verdura (+5%) che hanno raggiunto in valore il massimo di sempre. In calo del 3% sono state invece le spedizioni di vino italiano nel mondo duramente colpite dalla chiusura dei ristoranti. In prima fila, come di consueto, alcuni ricchi mercati come quelli degli Usa e della Germania. Senza dire di quelli asiatici, inferiori in termini assoluti ma molto promettenti. Dietro quanto accaduto, starebbe, secondo i coltivatori diretti, non solo la capacità produttiva e commerciale della filiera agroalimentare nazionale, ma anche una sorta di cambio salutistico dei mercati mondiali che contano. Un orientamento che certamente può fare molto, ma che non risolve i problemi di fondo del comparto. Anche se Coldiretti ha già spiegato: «L'Italia può ripartire dai punti di forza con l'agroalimentare che ha dimostrato resilienza di fronte la crisi e può svolgere un ruolo di traino per l'intera economia». Principio da condividere, ma che deve essere nutrito e reso operativo. Per questo, i coltivatori chiedono di «impiegare tutte le energie per superare le politiche dei dazi e degli embarghi», ma anche di «agire sui ritardi strutturali dell'Italia e sbloccare le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo». Sono alcuni dei vecchi nodi che legano da decenni lo sviluppo a dover essere sciolti. La “bolletta logistica” e la “bolletta energetica” costano troppo per le imprese. È da questi problemi che occorre ripartire. Impresa non facile. Anche se i fondi in arrivo dall'Europa potrebbero cambiare molte cose. Sempre che vengano ben spesi.