L'agricoltura italiana è ancora troppo lontana dal moderno mercato alimentare. È una constatazione amara, forse ovvia per gli addetti ai lavori, ma che nasce da una serie di dati resi noti in questi giorni dall'Ismea (l'Istituto per i servizi ai mercati agricoli). A testimoniare della situazione sono le modalità di vendita della gran parte degli ortaggi oltre che di buona parte del vino, anche a denominazione di origine, prodotto nella Penisola. I tratti della fotografia scattata parlano comunque chiaro: la strada da compiere verso il mercato è ancora lunga.
Secondo l'Ismea, dunque, il 77% delle aziende orticole vende il prodotto fresco sfuso e quindi non condizionato, lavorato, pulito, confezionato e reso più appetibile dal mercato. Una situazione che riguarda soprattutto le aziende che producono patate (88%) e pomodoro da industria (78%), e che si attenua solamente per i legumi (33%) e gli ortaggi in coltura protetta, con il 27%. Si tratta, fra l'altro, di prodotti che per il 74% dei casi trovano sbocco solamente sui mercati locali e che, invece, vengono venduti per percentuali irrisorie all'estero. Certo, è possibile osservare che spesso (nel 31% dei casi) le vendite di prodotto sfuso si rivolgono a cooperative e associazioni che si occupano poi del condizionamento. Ma rimane il dato di fondo non certo confortante. E non basta, perché nel 76% dei casi le vendite vengono effettuate in base ad accordi verbali; una quota che, per i prodotti condizionati, scende al 63% ma che, tutto sommato, rimane ancora troppo elevata.
Una situazione simile, anche se non così grave, è stata riscontrata dall'Ismea anche per la vitivinicoltura nazionale. In questo caso, solamente il 27% delle aziende che producono e imbottigliano vino a denominazione di origine riesce ad esportare il proprio prodotto oltre confine. Mentre il 29% vende solamente sul territorio nazionale e il 54% si limita al territorio provinciale. Percentuali che salgono molto se dal vino imbottigliato e DOC si passa a quello sfuso. Anche per la vitivinicoltura il ruolo di cooperative e associazioni risulta essere importante. E, in effetti, la storia del vino in Italia e stata fatta in buona parte anche dalle cosiddette "cantine sociali". Per le vendite di vino, tuttavia, un ruolo particolare riveste il canale diretto, anche se Ismea ha notato come la metà delle aziende che vendono vini comuni direttamente al pubblico ha ridotto la superficie messa a coltura.
Insomma, ancora una volta l'agricoltura dimostra tutte le sue contraddizioni: da una parte forte della sua capacità di produrre qualità riconosciuta in tutto il mondo, dall'altra legata ancora ai retaggi del passato e alle difficoltà di rispondere meglio alle richieste del mercato. È un comparto che guarda ai mercati esteri e alle luci del Made in Italy nel mondo, ma che si ritrova poi a dover vendere in azienda oppure alla rinfusa sottostando ai
prezzi fatti da altri. L'agricoltura di casa nostra è anche tutto questo.