L'agnello, il pallio e la vacuità del male
prigionia ove, nel 305, il lussurioso figlio del Prefetto aveva confinato la
giovane Agnese. Non potendo conquistarne il cuore, totalmente offerto a Cristo,
il giovane credette di poter approfittare di lei, costringendola nuda alla
prostituzione. Ma ad Agnese, nel postribolo in cui si trovava, i capelli
crebbero a dismisura, coprendo le sue nudità e un angelo le portò un abito così
lucente da turbare quanti tentavano di unirsi a lei. Il giovane, accecato più
dalla brama di vendetta che dalla bellezza della fanciulla, le si accostò per
abusarne, ma cadde a terra morto. Il Prefetto, costernato, scongiurò Agnese di
restituirgli il figlio. La santa pregò e il ragazzo riebbe vita. Per questo la
accusarono di stregoneria, condannandola al rogo. Cowper racconta il martirio
con discrezione: ai piedi dell’angelo sprigionano le fiamme del supplizio le
quali si divisero risparmiando la vita di Agnese. Il miracolo indispettì a tal
punto il suo aguzzino, che la uccise trafiggendole la gola.
Questo il
martirologio, ma allora da dove scaturisce l’iconografia della martire sempre
associata all’agnello? La leggenda narra di un’apparizione di Agnese splendente
di luce con in braccio l’animale. Così la rappresenta, ad esempio, lo Zurbaran,
pittore spagnolo luminista chiamato pittor dei frati per la sua religiosità.
Agnese, ritratta di profilo, come era solito fare l'artista, si volge appena
verso di noi. Non ci guarda però, abbassando gli occhi sull'agnellino che le
riposa in seno. Lo splendore del manto giallo dice la regalità del suo martirio
eppure non compare nessuna spada, né l'attributo della palma tipico delle
martiri. Zurbaran ritrae la Martire solo con l'agnello e il libro: sintesi
estrema della sua vicenda. Agnese mori sgozzata come un agnello per la fedeltà
al Verbo Incarnato, a quella Parola che è Cristo stesso. Il suo nome greco Hagnḗ, casta, fu associato al latino Agnus e si collegò, così, la martire all’Agnello
che è Cristo. Del resto, l’agnello portato sulle spalle, era l’attributo
principale dei Vescovi metropoliti, uniti al papa. Per questo invalse l’uso di
porre sulle loro spalle strisce di lana con croci ricamate trafitte da spilli
(rimando alla passione di Cristo) detti pallia. Non per nulla Cowper
colloca a destra del dipinto una stele sulla quale compaiono molti agnelli: il
riferimento è, appunto al pallium, indossato anche dall’angelo. In primo
piano si vedono pani assaliti da due sorci, simboli di lussuria e di astuzia
demoniaca. L’immagine esprime la vacuità del male: i potenti che decretarono la
morte della Santa svanirono nel nulla, mentre la memoria di Agnese, dopo 17
secoli, vive ancora. Ogni anno, infatti, il 21 gennaio festa della santa, due agnelli
adornati con un manto rosso e uno bianco rimando alla verginità e al martirio
della stessa, sono condotti alla basilica di Sant’Agnese fuori le mura, per
essere benedetti dal Papa. Con la lana di questi agnelli sono tessuti i pallia
che si conservano poi accanto alla tomba di Pietro, memoria confortante di
come, nella storia, tutti gli strapoteri periscono mentre non muoiono quanti
vivono nella stessa fedeltà a Cristo testimoniata dalla vergine dodicenne.
ImmaginiFrancisco Zurbaran (1598-1664) Santa Inès, olio su tela, 171x107 cm. 1640-1650 Museo delle Belle Arti di Siviglia.Frank Cadogan Cowper (1877-1958) Sant’Agnese in prigione riceve dal Cielo abiti bianchi e splendenti,
olio su tela, 74.3×45.1cm. 1905 Tate Gallery, Londra