Jody LeBlanc era sveglio da 48 ore grazie alla cocaina quando la “Jacqueline Robin” è stata travolta da un'onda che ne ha sfondato il ponte e gli ha provocato due fratture alle vertebre a una a un braccio, oltre a un trauma cranico e a una profonda ferita a una gamba. Il peschereccio ha dovuto puntare subito la prua verso riva e intraprendere senza sosta le 15 ore di viaggio che hanno fatto arrivare il giovane in ospedale.
Era il 2019, quando Jody aveva 22 anni ed era alla sua terza stagione di pesca all’aragosta nel Maine. La droga a bordo delle barche che uscivano per giorni a piazzare e recuperare le trappole per i crostacei era (e spesso è ancora) non solo tollerata, ma incoraggiata. «Guadagnavo molto bene, ma era un lavoro massacrante. E in quell’ambiente girava ogni tipo di polverina. Il mio stesso capitano ne prendeva. Ci faceva fare cose pericolose, come caricare le nasse dal ponte esposto della nave, anche con il mare alto e i venti forti».
Purché fosse in grado di lavorare, la dipendenza di Jody non era un problema. «Se mi presentavo alla mattina e dicevo che non potevo salire a bordo perché ero in crisi d’astinenza, il mio capitano mi diceva: ecco cento dollari. Ci vediamo tra un’ora».
La storia di Jody non è un’anomalia. Solo lo scorso anno, l'industria della pesca delle aragoste del Maine ha incassato 533 milioni di dollari, e 11 pescatori sono morti per overdose. Il settore è noto tanto per essere redditizio che come terreno fertile per l'abuso di oppioidi.
«Avevo già fatto un inverno a pescare capesante, ma l’aragosta era pagata di più - continua Jody -. Quando mi è stato offerto un posto su una lobster boat, l’ho preso al volo. Ho guadagnato di più quelle tre estati che in qualsiasi altro anno, ma ho finito ogni stagione sul lastrico. Non solo io. A settembre eravamo tutti al verde». Jody è convinto che le giornate interminabili, il duro lavoro fisico e la disponibilità di cocaina e eroina abbiano creato e poi esacerbato il suo problema con la droga. L’incidente è stata una sveglia dolorosa ma, dice ora, necessaria. Quando si è ripreso dalle ferite, ha passato tre mesi in un centro di disintossicazione d’ispirazione cristiana. Poi ha fatto causa al capitano della “Jacqueline Robin” per negligenza e ha usato i soldi dei danni per lanciare l’idea che aveva avuto durante la riabilitazione. Una cooperativa di pescatori che desse battaglia alla diffusione delle droghe. Ha cambiato Stato, trasferendosi in Massachusetts, e ha cercato di far partire il suo progetto.
Comprare un permesso per la pesca all’aragosta non è facile ed è carissimo, nell’ordine di milioni di dollari, ma nel giro di qualche mese Jody e gli altri membri della cooperativa, che nel frattempo erano saliti a sei, hanno trovato due capitani di Gloucester disposti ad aderire alla loro idea: pescherecci drug-free che avrebbero assunto solo che diceva no alle sostanze stupefacenti.
«Sul “Seaweed” e sulla “Neptune” abbiamo una tolleranza zero. Se un impiegato si presenta a bordo fatto o in crisi d’astinenza, lo incoraggiamo a seguire un percorso di disintossicazione - spiega Jody -. Siamo affiliati a una clinica e a un’organizzazione non profit, Reeling in Recovery, che aiuta i tossicodipendenti a diventare sobri proprio grazie al rapporto con l’acqua e con la pesca».
Trovare pace e guarigione e crearsi una comunità sono gli obiettivi della cooperativa che è alla sua quarta stagione. Il tempo trascorso in mare non è più visto come un momento di evasione dalle responsabilità o un’opportunità per isolarsi e consumare cocaina o eroina, ma come parte di una crescita. «Collegandoti con gli altri ti costruisci una rete di sostegno. Vogliamo rompere la barriera dell’isolamento - dice Jody -. Condividere le nostre esperienze ci porta più vicini all’astinenza totale». La cooperativa è nata per la pesca, ma spesso le sue barche ospitano ritiri organizzati da Reeling in Recovery per chi vuole passare due giorni nell’ambito di un percorso di allontanamento da alcol e droga. «C’è ancora troppa dipendenza sull’acqua lungo tutta la costa Est, da qui fino al Canada - conclude Jody -. Ma la cultura può e deve cambiare. Un peschereccio alla volta».
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