Lev Tolstoj è lo scrittore russo che più d'ogni altro ha saputo esprimere, persino più di Dostoevskij, l'anima della Santa Russia. È dal pacifismo cristiano di Leone che ha preso le mosse quello di Gandhi, liberatore dell'India intera senza né bombe atomiche né terrorismo dinamitardo. Ma quello che mi tocca ancora oggi, da vicino, era la sua Jasnaja Poljana, fattoria del conte russo, dove faceva scuola per gli analfabeti ma anche gli intellettuali potevano rinfrancarsi lo spirito ed il corpo. Ebbene anche noi, intendo la mia famiglia, senza saperlo avevamo una piccolissima Jasnaja Poljana. Un cortile con qualche albero, non di proprietà dove, d'estate all'ombra, d'inverno in casa, si faceva un cerchio di sedie che via via venivano occupate la domenica, già nel primo pomeriggio, da autentici poveri cristi. Loro mangiano veloci ed anticipatamente. Alle tredici e trenta, qualcuno era già arrivato. Un'ora dopo, mio padre usciva coi bicchieri e li distribuiva agli ospiti. Poi mia madre, con un bottiglione di barbera dell'Oltrepo pavese, riempiva i vetri di un rosso quasi nero. Non c'era la replica ed ognuno doveva ben amministrare la sua bevuta. Era allora che le campane suonavano il tempo della dottrina. Mia madre si accomiatava così.