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Istruzioni per liberare la pace (anche) in Sahel

Mauro Armanino martedì 21 febbraio 2023
L’amico Pierluigi Maccalli, padre e fratello, ostaggio per più di due anni nel deserto, è stato per tanto tempo incatenato dai suoi rapitori. Attaccato come si fai coi cani e coi prigionieri perché non fuggano dalla prigionia, aveva pochi metri di spazio. Proprio a lui, da sempre artigiano di pace nel suo cammino umano e missionario, è toccato in sorte di fare l’esperienza della violenza. In quella circostanza, nelle fredde notti sotto le stelle ancora più luminose del deserto, avrebbe confessato di avere scoperto la libertà. Da allora Pierluigi, nel suo Paese e altrove con chi l’ascolta e legge i suoi scritti condivide una testimonianza di pace. Lui, innocente ostaggio della violenza armata in nome di un dio camuffato da giustiziere, ha trasformato le catene in libertà. Nel Sahel, altrove in Africa e in Europa, non si fa che parlare di armi, munizioni, militari, tattiche e strategie per “neutralizzare” il nemico. Pure noi in Niger, nel nostro piccolo, possediamo aerei, droni, basi militari, soldati e cimiteri in abbondanza. Non mancano gli investimenti per il settore della difesa e non mancano neppure, nella stessa capitale, le classi fatte di paglia che ogni anno riducono in cenere alunni e luoghi d’istruzione. I gruppi armati di dio, dei soldi, dei commerci e soprattutto dei propri interessi, non sono che pedine, vittime anch’essi delle forze del male. Esse, le forze schiave del male, operano in modo aperto e misurabile e assieme occulto, perché indefinito negli effetti poco prevedibili. Di tutto ciò la corsa al riarmo è il segno. I numeri dell’Istituto internazionale della ricerca sulla pace di Stoccolma evidenziano – come i lettori di “Avvenire” sanno bene – che il 2021 è stato marcato da una spesa militare senza precedenti, per la prima volta oltre i duemila miliardi di dollari e sino a “quota 2.113”. Il business della guerra è generato dai conflitti armati, le scelte militariste dei Paesi belligeranti o cobelligeranti, impegnati a rifornire gli eserciti sul campo. Si prepara poi il business della ricostruzione e l’organizzazione di diversi paradisi (pseudo)umanitari con, sullo sfondo, l’industria bellica al comando della politica che si nutre della vita di migliaia di esseri umani. Finché il detto latino anonimo assicura che “se si vuole la pace occorre prepararsi alla guerra” non sarà messo nelle pattumiere della storia, non usciremo dalla logica della spirale della violenza, di cui anche Dio è vittima. Ecco perché è da prendere sul serio l’invito accorato dell’amico Pierluigi a “liberare la pace”. Nelle politiche, nelle religioni, nell’economia, nelle relazioni e soprattutto nello spirito umano, occorre “ripudiare” la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Disarmare e soprattutto disarmarsi nel pensiero, nelle parole, nelle scelte e nello sguardo, per liberare la pace, incatenata dalla menzogna e dalla paura dell’altro. Niamey, 19 febbraio 2023