Dall'alto, la terra ucraina è brulla, color fango. Anche il cielo è triste e minaccioso. Davanti ai miei occhi decine di spie brillano sul cruscotto. Il mio caccia Su-35 ha un radar a scansione elettronica che monitora 30 bersagli contemporaneamente. Ha un sistema di targeting optoelettronico per puntamento laser e rilevamento a raggi infrarossi. Porta 8 tonnellate di missili e bombe. Io non devo fare quasi niente. Il mio caccia è intelligente. Vede, rileva, lancia, fa tutto lui. Mi chiamo Pavel, ho 22 anni. Cinque anni fa ancora giocavo con la play station nella mia stanzetta alla periferia di Mosca. Somiglia a oggi quel gioco, eppure è differente. Borodyanka, si chiama la città laggiù, mai sentita. Ma somiglia al mio quartiere. Nella vecchia Urss le case erano tutte uguali. Io, devo solo dare una conferma. Sfioro un tasto, e siamo già lontani. Un boato, poi un'esplosione. Borodyanka avvampa di fiamme. (Quel balcone all'ultimo piano, era proprio come il mio. Mi è parso per un attimo di vederci affacciata mia mamma, morta da anni. Coltivava le rose, ma non le sopravvivevano mai all'inverno. Che sciocchezza, vedere mia mamma). Missione compiuta, si torna alla base. D'altronde sono un pilota russo, che dovrei fare? Obbedisco agli ordini. Quel balcone, quell'ombra, continuano fastidiosamente a inseguirmi. Bisognerà che ci beva sopra. Che ci beva tanto. Domani sera si riparte.