Nella casa in cui abitavamo con i figli piccoli, in portineria c'era una scalinata di otto gradini. Il primo figlio, intorno ai due anni, si mostrò ansioso di scendere quegli scalini con le sue gambe. Prima quasi sollevato per la mano, poi appena sostenuto, arrivava alla fine della scala. Finché un giorno si sottrasse bruscamente alla mia stretta. Voleva andare da solo. «Io grande ormai!», proclamò. Sette scalini, e all'ottavo finì a terra. Il secondo, ugualmente, alla medesima età si misurò con gli scalini dell'ingresso, fortunatamente ammorbiditi da una stuoia di velluto. Prima attaccato alla mia mano, poi, cauto, da solo, poi disinvolto - e volò. La terza allo stesso modo era attratta dalla scala coperta di velluto bordeaux. Più leggera e agile dei fratelli, dopo qualche prova con me annunciò anche lei: «Io grande ormai!», e quasi di corsa scese da sola - finché all'ultimo gradino precipitò. Sorrisi, abituata ormai alla fiera dichiarazione di autonomia dei due anni. «Io grande ormai!» e un tonfo, due lacrime ingoiate con orgoglio. Che voglia di andare hanno i bambini, di tuffarsi nel mondo. Noi lì per accompagnarli, e poi lasciarli andare. (A vent'anni, ho imparato, vanno davvero. Aprire la mano, sciogliere la stretta è allora l'amore difficile, e più grande che si possa dare).