«Quaranta obiettivi sulla mappa Usa», titolava il Corriere due giorni fa, disegnando un possibile intervento sulla terra di Libia, tanto martoriata da una guerriglia che non sembra trovare fine. Seguono descrizioni di jet e droni in un progetto di attacco per ora sulla carta, ma pare di sentire già il rumore minaccioso dei motori che aspettano solo il via per un giorno X ancora da decidere. «Tripoli, bel suol d'amore...», cantavano i nostri giovani nonni quando partivano per quella guerra d'Africa. Oggi siamo diventati più feroci, uccidiamo con le macchine senza distinguere tra militari e civili, tra gli uomini con le armi e i bambini che giocano sulle strade. È una guerra in attesa della quale si discute quasi con leggerezza – come non toccasse i nostri confini e le nostre famiglie. Se ne scrive in modo irreale quasi a tranquillizzare il nostro popolo che non verrà travolto nel conflitto, si sentirà solo il rombo dei motori in partenza dalle nostre spiagge. Motori che altri useranno per portare morte... La memoria dell'uomo è davvero povera e breve se abbiamo già dimenticato le tragedie dell'ultima guerra, l'arte della violenza organizzata, le grida di chi muore. La nuova generazione europea non ha conosciuto quanto l'uomo sappia essere crudele quando viene scatenato da un'idea di potere; la storia nei libri di scuola non racconta l'agonia di chi muore, ma solo la bandiera che ha vinto. Non ci resta che sperare nella forza della parola, nella volontà e coscienza di chi ha in mano le decisioni e gli impegni politici di difesa della pace. La nostra patria Europa, se pur indebolita, può avere ancora l'occasione di lavorare con forza per essa; la pace è come una pianta che va coltivata dal suo primo spuntare e ha bisogno di coraggio più della guerra. È l'ascolto la prima virtù della pace, l'offerta del proprio pensiero, la mano tesa a chi ci offende. Esiste una pace dell'anima che vive anche in un tempo di violenza come il nostro, dove ogni pagina di quotidiano racconta fatti atroci. Nasconderlo ai bambini non serve, è meglio contrapporre al negativo ciò che di buono c'è nel mondo, il bene che non fa rumore, la gioia senza nome di chi apre le braccia al dolore dell'altro. Un'accoglienza, una parola di conforto, un bicchiere d'acqua ai profughi che trovano strade chiuse alla fuga possono diventare per i giovani ragione di vita.