Inter in finale Il segreto? Il «coraggio» di Conte
cosa che spesso se non sempre viene dimenticata dagli opinionisti che non sono nati nel calcio ma nelle tv, anche quelle ad ascolti personalizzati: nel momento decisivo entrano in campo virtù non apprese a Coverciano o sui libri: sono l'orgoglio e la disperazione che producono frutti estremi - come la vittoria - se nascono dove già esistono professionalità e quel tanto di qualità inevitabile se si frequentano tornei nazionali e internazionali di alto livello. Mi verrebbe da dire anche la fortuna - invocata dagli addetti ai lavori soprattutto quando manca - ma preferisco la voce breriana/gozzaniana del calcio mistero bello e senza fine. Il quid - direbbe Berlusconi - che un tempo favoriva anche il Tredici al Totocalcio, festa smarrita nella nebulosa delle scommesse. Antonio Conte possiede in quantità non solo le nozioni per costruire squadre vincenti ma anche i mezzi pratici per realizzarle. Dopo mesi di incertezze, va e vince, anche clamorosamente, aggiungendo con le parole del dopopartita un elemento mancante al mio breve elenco di virtù: «I ragazzi hanno avuto coraggio». Quel quid che «uno, se non ce l'ha, mica se lo può dare». Un tecnico che con «i ragazzi» ci vive sa se al momento giusto il coraggio l'avranno. I nerazzurri l'hanno avuto e hanno demolito l'avversario ucraino/brasiliano non solo esibendo gli abituali prodigi di Lukaku ma risvegliando gli affievoliti slanci di Lautaro Martinez, forse liberato dalle ansie barcellonesi dopo aver visto il Barça affondare a forza di siluri tedeschi. A ben vedere, Barcellona-Bayern è stata l'unica partita di cartello risoltasi con un risultato certo esagerato ma logico: fra i più forti rimasti in Champions è rimasto in lizza il fortissimo che ha recuperato anche un Muller d'annata mentre sul fronte avverso sprofondava il mito di Messi ( dunque pronto ad essere recepito da un campionato “basso” come il nostro). Il resto appartiene a quelle motivazioni straordinarie che ho elencato: le imprese del Lione, del Lipsia, e ci stavano anche quelle dell'Atalanta se ci avesse creduto fino un fondo. L'Inter, con la doppia impresa di eliminare il Bayer Leverkusen e lo Shakhtar elogiatissimo da Lucescu, ha fra l'altro ridicolizzato il teorema degli opinionisti ginnasiarchi che avevano trovato una spiegazione non tecnica ( troppo difficile?) alla sopravvivenza nella fase finale della Champions di sole squadre tedesche e francesi, ridefinite «le Riposate», mentre tutte le altre - Juventus compresa - erano «le Stanche». L'Inter, dichiaratasi stanchissima fin da quando si discuteva se ricominciare o no il campionato (pensate come doveva esserlo dopo averlo giocato anche con forte dispendio di energie) ha speso al momento giusto il valore aggiunto del coraggio. Forse anche della disperazione, visto tutto quello che c'è in ballo nella società e nella squadra. Aggiungo una considerazione non gratuita: così com'è andata rivelandosi match dopo match, l'Europa League non è la Coppa del Nonno e neppure un contentino: Inter-Siviglia di venerdì 21 agosto è una finale che non ha nulla da invidiare a quella che verrà definita dal coraggio o dall'inferiorità tecnica di Lipsia e Lione.