Intellettuali & politica: meglio la secessione o la collaborazione?
Dopo aver letto l'editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul "Corriere della sera" di mercoledì scorso, intitolato Un paese senza politica, gli ho telefonato per dirgli che il suo articolo era scritto desolatamente «con l'anima». Il linguaggio che usava non era quello di molti commentatori politici più o meno intelligenti. Andava oltre. Esprimeva un disperato scoramento e non la solita indignazione con la quale si vuole colpire l'avversario. Ma «parlare al cuore e alla mente» di un Paese, «indicargli una via e una speranza» non credo che sia «il compito della politica», come scrive Galli della Loggia. Non lo è. Non lo è più. Se lo è stato, credo che sia stato un errore ideologico da non ripetere. Gli intellettuali che non fanno direttamente politica dovrebbero smettere di idealizzarla e sentirsi parte del ceto dirigente: meglio lasciarlo a se stesso. C'è una politica "in senso lato" che si può fare, che è possibile fare soltanto fuori della politica "in senso stretto". La politica dei politici non è che il prodotto inevitabile di quello che è già accaduto in una società e in una cultura. È di legami sociali, è di forme e contenuti culturali che devono occuparsi gli intellettuali. È questo il loro vero modo di fare politica diversamente. Perciò, con i politici, meglio la secessione che la collaborazione.