Per annunciare la Salvezza potevo superare l’oceano, ma non ero ancora pronto a saltare un pasto. Era la desolante realtà a cui dovevo arrendermi, mentre lottavo per difendere dalla nostra fame da lupi alcune ostie di pane azzimo. Le avevamo portate con noi perché diventassero il Corpo di Nostro Signore, mi dicevo facendomi la morale, non per farne degli snack per l’aperitivo! La lotta però era dura: ero vittima di una fame inspiegabile, soprannaturale, ma in negativo, quella fame che ti prende quando decidi di digiunare per solidarietà con i poveri e subito la tavoletta di cioccolato ti sembra più deliziosa. Fratel Ugo non sembrava condividere i miei scrupoli. Si era seduto ai margini della "foresta proibita", teneva in mano una bottiglia di vino da messa e stava bevendo a canna: «Possiamo anche mangiarle tutte. Ormai non abbiamo altra scelta che far ritorno giù al villaggio. Ci sono tantissime ostie nella sagrestia di San Pedro del Gallo… La Metagonia ha aspettato più di duemila anni, può benissimo aspettare ancora qualche settimana…». Per dar peso alle sue parole con un argomento definitivo mi fece vedere, sul suo telefono cellulare, un fenomeno singolare. Fuori dalla foresta c’erano cinque barre di rete, il massimo; ma appena sporgeva il braccio col telefonino sotto ai primi rami la ricezione cadeva bruscamente a zero, come se la vegetazione producesse un potente schermo. Fratel Ugo ripeté l’operazione parecchie volte dicendo: «Qui, prende; là, non prende… Qui, prende; là, non prende…» e se un prestigiatore avesse fatto sparire un brontosauro nel suo cilindro si sarebbe stupito di meno. Evidentemente, non potevamo decentemente sperare nell’aiuto di Dio in una zona dove "non prende". Fratel Ugo teneva alla sua rete quasi quanto al suo rosario. Devo tuttavia riconoscerlo: il suo fervore apostolico lo aveva spinto a modificare il suo abbonamento. Aveva preso l’opzione GlobalSat «la prima a garantire una copertura di tutto il globo, anche sulla cima dell’Everest, anche in mezzo al Sahara». Si può immaginare la sua indignazione in quel momento: «In ogni modo, dobbiamo raggiungere al più presto un’agenzia Totalcom per protestare contro la sua pubblicità menzognera…». Infine, per farmi deprimere ancor di più, si mise a rispondere ai messaggini di Mercedès Mendoza e di altre sue "assistite", come se fossimo non in capo al mondo ma nel suo ufficio nella Casa Madre della nostra congregazione : «Non si preoccupi, prego per lei…», «Resti certa della Provvidenza di Dio…», «Coraggio, la strada è oscura, ma conduce alla luce eterna…». Infatti, adesso era tranquillo che non avrei più opposto resistenza al nostro ritorno immediato a Las Paquitas, almeno finché il nostro superiore non si fosse deciso ad accordarmi al suo posto un altro confratello con cui ripartire. Stavamo dunque per togliere le tende, io rassegnato, lui cercando di nascondere la sua gioia. Per vincere i miei ultimi tentennamenti, ripassò il suo telefono sotto l’ombra di un albero i cui numerosi rami ricadevano fino a terra : «No, lo vedi non prende, non c’è niente da fare. La prudenza ci impone…». Si interruppe di colpo. All’improvviso era spuntata dal suolo una manina e aveva afferrato la sua lunga corona del rosario. Era una piccola scimmia del genere uistitì, nera, col ventre rosso, e ora stava scappando coi venti misteri. Senza por tempo in mezzo fratel Ugo si gettò al suo inseguimento. Lui che non voleva altro che ritornare al mondo civilizzato, si lanciò nella foresta scura e spessa, facendosi largo tra i rami e sollevando la tonaca per liberare la falcata. Mai l’avevo visto correre in quel modo. Il fatto è che teneva a quella corona come alle pupille dei suoi occhi. Gliel’aveva regalata sua mamma il giorno della sua vestizione. Adesso che sua madre non c’era più, era la sua corda di sicurezza, il suo orsetto di pezza mistico, il suo cordone ombelicale ricostituito. Non poteva lasciarla a uno uistitì Tanto più che questo uistitì ogni tanto si fermava e si voltava per sfidarlo con un sorriso quasi umano. Forse lo Spirito Santo aveva preso la forma di una scimmia? Il rosario scivolava come un serpente attraverso i rami. Mi lanciai al seguito di fratel Ugo che aveva completamente dimenticato il suo dovere di denunciare la menzogna dell’abbonamento GlobalSat. Mi accorsi allora che avevo scambiato per rami quelle che in realtà erano radici, che piovevano dal cielo proprio come le radici dei banyans del Bengala. Avevo sentito dire che quegli alberi potevano sopravvivere alla perdita del loro tronco: le radici aeree ne compensavano l’assenza e sostenevano i rami principali che risplendevano ormai intorno ad un asse vuoto. Per quanto tempo abbiamo inseguito il prezioso rosario? Un’ora? Due? L’uistitì si divertiva con noi come con due cani che sbavavano dietro a una corda di salsiccia… Quando sbucammo dall’altra parte della foresta, il sole ci arrestò abbagliandoci. Eravamo passati sull’altro versante della montagna. La valle che si distendeva ai nostri piedi era tanto lussureggiante quanto quella di prima era desertica. Eravamo in Metagonia. E la Metagonia somigliava al paradiso terrestre. Curiosamente, in quell’attimo mi ricordai di un passaggio della Genesi: «E Lot alzò gli occhi e vide l’intera pianura del Giordano, essa era tutta quanta irrigata come il giardino dell’Eterno». In verità stava guardando Sodoma e Gomorra.
(5, continua. Traduzione di Ugo Moschella)