Qualcuno insiste a chiamarle celebrazioni. C'è chi parla addirittura di eventi. Ma le tragedie non si celebrano, tuttalpiù si commemorano. Non può essere che così anche per l'alluvione di Firenze che cinquant'anni fa lasciò dietro di sé morte e distruzione. E per fortuna quel 4 novembre 1966 era festa. Ancora si celebravano (questa volta sì) le Forze armate. Se fosse stato un giorno di lavoro, il conto dei morti sarebbe stato un altro. Furono in ogni caso troppi. Il primo ricordo è giusto vada a loro. Il secondo va agli «angeli del fango», quelli che arrivarono da fuori, ma soprattutto quelli che vivevano in città: gli stessi fiorentini, quelli dei quartieri popolari, la gente semplice, che si rimboccò le maniche e calzò gli stivali per ripartire. Al ricordo ieri ha preso parte anche Rai 3. Lo ha fatto a mezzogiorno e mezzo con un documentario dedicato a L'Arno, il fiume dei toscani, ovvero al protagonista, allora nel male, di quel 4 novembre. A firmarlo tre giornalisti del Tg regionale: Jacopo Cecconi, Marco Hagge e Guido Torlai con la collaborazione di Sandro Bennucci, memoria storica dell'alluvione a Firenze (l'ha ricordata ogni anno sulle pagine de “La Nazione”). Gli autori hanno scelto un percorso originale tra storia e attualità, accompagnati da un testimonial d'eccezione: Dante Alighieri, che definì l'Arno «un fiumicel che nasce in Falterona / e cento miglia di corso nol sazia». Sono partiti materialmente dalla sorgente, con le campagnole del Corpo forestale, per poi scendere, con i gommoni dei Vigili del fuoco, lungo il fiume, che «... per mezza Toscana si spazia». Un tragitto che una goccia partita da Capo d'Arno impiega alcune settimane per arrivare a Bocca d'Arno. Lo sappiamo con certezza grazie a un altro grande fiorentino, il Brunelleschi, che per la sua Cupola utilizzò il legname delle Foreste Casentinesi che messo in acqua nei periodi di piena a Ponte a Poppi arrivava a Firenze dieci giorni dopo. Ma oltre la geografia che diventa storia, il documentario Rai risponde alla domanda d'attualità più importante: con le stesse condizioni climatiche di cinquant'anni fa, l'Arno tornerebbe «in libera uscita»? Purtroppo sì. Quello che è stato fatto per la messa in sicurezza è troppo poco: riduce il rischio in percentuale minima. E l'Arno mediamente gioca brutti scherzi una volta a secolo. Mezzo è già passato.