Rubriche

Infinito tango

Alberto Caprotti mercoledì 2 ottobre 2024
Ora che la bella stagione è conclusa, gli anziani non ballano più il liscio al circolo sotto il pergolato. Sono rimaste orfane le sedie lungo i lati, dove riposavano il fiato dell’ultima mazurka. Non era una danza della vita che fu, ma del tempo che è. Ricordo che mi piaceva osservarli essere, non essere stati. La finta sicurezza dei maschi, la falsa timidezza delle femmine. Quelle che, se capita, si accontentano di ballare anche tra loro, per riempire il vuoto. Qualcuno ha scritto che ogni ragazza felice, se la lasci sola abbastanza a lungo, prima o poi canta o balla. Antidoto alla solitudine, che è bella quando si sceglie, ma terribile quando ti sceglie. Tra un passo e l’altro era splendido spiare i volti sull’orlo della felicità. E i piccoli giochi di seduzione. L’aria che sapeva di acqua di colonia e di tarda estate. Riposarsi un poco e poi andare, girare ancora. L’infinito mistero del desiderio che fa spingere il cuore fino in fondo, fosse pure l’ultimo giorno. E poi i tanghi. Se la danza è uno stato d’animo e una scorciatoia per la felicità, il tango è disegno d’autore, è riempire un vuoto tra due corpi, è la poesia dei piedi, un pensiero triste che si fa passo. Il più anziano in pista era sempre il più ammirato. Anche lui, come gli altri, e come canta Paolo Conte, alle prese con una verde milonga. Era venuto a danzare, e di nascosto ad amare. © riproduzione riservata