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Individuo e comunità cosa dice la Chiesa

Salvatore Mazza sabato 23 marzo 2019
Nel 1891 la Rerum novarum tracciò in maniera molto chiara le basi della dottrina sociale della Chiesa, ponendosi su una posizione distante tanto dall'operaismo rivoluzionario quanto dal capitalismo rampante. Si trattava, all'epoca, di ricompone la "questione sociale" scatenata dagli eccessi di quelle due posizioni, e quella enciclica divenne fonte d'ispirazione per il movimento cattolico nella ricerca di una "terza via" capace di contemperare giustizia sociale e mercato, dando origine tra l'altro a un nuovo modello di esperienza cooperativistica.
È forse perfino superfluo sottolineare l'attualità di tale insegnamento e di tale modello, non a caso continuamente riproposto dal magistero. «Si può dire – disse a Faenza Giovanni Paolo II nel 1986 – che la novità dell'esperienza cooperativa risiede nel suo tentativo di sintesi fra la dimensione individuale e quella comunitaria. In questo senso è un'espressione concreta della complementarità, che la dottrina sociale della Chiesa ha sempre tentato di promuovere, fra le persone e la società; è la sintesi fra la tutela dei diritti del singolo e la promozione del bene comune». E nel 2011 Benedetto XVI, parlando alla Confcooperative, osservò come «proprio nell'impegno di comporre armonicamente la dimensione individuale e quella comunitaria risiede il fulcro dell'esperienza cooperativistica. Essa è espressione concreta della complementarietà e della sussidiarietà che la Dottrina sociale della Chiesa da sempre promuove fra la persona e lo Stato; è l'equilibrio fra la tutela dei diritti del singolo e la promozione del bene comune, nello sforzo di sviluppare un'economia locale che risponda sempre meglio alle esigenze della collettività. Ugualmente, anche sul piano etico, essa si caratterizza per una marcata sensibilità solidale, pur nel rispetto della giusta autonomia del singolo... Non dobbiamo dimenticare, infatti, come ricordavo nell'Enciclica Caritas in veritate, che anche nel campo dell'economia e della finanza "retta intenzione, trasparenza e ricerca dei buoni risultati sono compatibili e non devono mai essere disgiunti. Se l'amore è intelligente, sa trovare anche i modi per operare secondo una previdente e giusta convenienza, come indicano, in maniera significativa, molte esperienze nel campo della cooperazione di credito"».
Un concetto ribadito la settimana scorsa da Francesco, che di fronte agli stessi interlocutori ha osservato come «il vostro modello cooperativo, proprio perché ispirato alla dottrina sociale della Chiesa, corregge certe tendenze proprie del collettivismo e dello statalismo, che a volte sono letali nei confronti dell'iniziativa dei privati; e allo stesso tempo, frena le tentazioni dell'individualismo e dell'egoismo proprie del liberalismo». Infatti, ha aggiunto, «mentre l'impresa capitalistica mira principalmente al profitto, l'impresa cooperativa ha come scopo primario l'equilibrata e proporzionata soddisfazione dei bisogni sociali». E se certamente anche la cooperativa «deve mirare a produrre l'utile, ad essere efficace ed efficiente nella sua attività economica, ma tutto questo senza perdere di vista la reciproca solidarietà». Per questo allora «il modello di cooperativa sociale è uno dei nuovi settori sui quali oggi si sta concentrando la cooperazione, perché esso riesce a coniugare, da una parte, la logica dell'impresa e, dall'altra, quella della solidarietà». Perché non è vero che le due cose sono incompatibili. Anzi.