Credo che nella nostra vita si registra un momento di svolta quando guardiamo all'incompiutezza in un'altra maniera, non soltanto come a un indicatore o sintomo di mancanza, ma come a una condizione inderogabile del nostro essere. E così ci rendiamo capaci di vivervi assieme in pace. L'avventura di essere non è altro che abitare, in tensione creativa, la propria incompiutezza e quella del mondo. È vero che a tal fine dobbiamo imparare ad abbracciare il vocabolario della vulnerabilità. Ciò comporta un esercizio di distacco e di povertà interiore. Accettare di non conseguire tutti gli obiettivi che ci eravamo prefissati. Accettare che il punto cui siamo arrivati è ancora una versione provvisoria, una versione da rivedere, piena di imperfezioni. Accettare che ci mancano le forze, che c'è una freschezza di pensiero che non otteniamo meccanicamente con il solo insistere. Accettare, probabilmente, che domani dovremo ripartire da zero, e per l'ennesima volta. Ma questa riconciliazione con l'incompiutezza ci apre anche all'esperienza della reciprocità, forse come non l'avevamo ancora vissuta. La vita di ciascuno di noi non basta a se stessa: avremo sempre bisogno dello sguardo altrui, che è uno sguardo altro, che ci osserva da un'altra angolazione, con un'altra prospettiva e un'altra disposizione d'animo. Il senso della vita non si risolve individualmente. Il suo vero significato lo si raggiunge nell'incontro, nella condivisione e nel dono.