Incognita Brexit sull'agroalimentare. Il mercato inglese vale tre miliardi
A fare il punto di cosa c'è in gioco, ha pensato il terzo Forum Agrifood Monitor di Nomisma e Crif, che ha indicato pochi numeri che spiegano tutto. Con un valore vicino ai 56 Miliardi di euro, il Regno Unito rappresenta il sesto mercato al mondo per import di prodotti agroalimentari e il secondo per consumi a livello europeo (250 miliardi di euro nel 2017). Si tratta di un paese dove l'autosufficienza alimentare non supera il 50% e per tale motivo fortemente dipendente dalle importazioni, in particolare degli (ancora) partner europei, dato che il 70% delle forniture di prodotti alimentari proviene proprio da questi paesi. In tale ambito, l'Italia figura come il sesto fornitore, con una quota in valore vicina al 6% delle importazioni britanniche. Ma è una quota che pesa quella italiana visto che come si è detto vale oltre 3 miliardi di euro portando il Regno Unito ad essere il quarto mercato per l'export agroalimentare nazionale, ma il primo per Prosecco (4 bottiglie su 10 esportate finiscono in questo paese), pelati e polpe di pomodoro (20% dell'export a valore). Certo, altri prodotti nazionali vendono meno oltre Manica (sotto i 100 milioni di euro in questo mercato) ma i formaggi grana Dop (Parmigiano Reggiano e Grana Padano) contano sul Regno Unito per il 9% delle proprie vendite oltre frontiera; mentre parlando di indicazioni geografiche, non bisogna sottovalutare il fatto che tra vini e prodotti alimentari Dop e Ipg finisce in Gran Bretagna circa un miliardo di euro del nostro export "di eccellenze".
In ballo c'è quindi molto. Ma perché il settore inizia a preoccuparsi? Il problema è che a sei mesi dalla data ufficiale del divorzio del Regno Unito dall'Unione Europea (29 marzo 2019), mancano all'accordo ancora troppi tasselli agroalimentari.
Non siamo d'altra parte gli unici interessati, ma noi abbiamo forse un interesse particolare e maggiore. Basta pensare che per tre regioni italiane (Campania, Veneto e Basilicata), il Regno Unito arriva a pesare fino al 15% sull'export agroalimentare regionale. Ciò che preoccupa di più sono la svalutazione della sterlina e, dal punto di vista più strettamente agricolo, le regole ancora da scrivere circa il riconoscimento e la tutela delle denominazioni agroalimentari, per noi come si sa un tesoro nel tesoro. Insomma, i prossimi mesi saranno un altro banco di prova per il nostro Governo.