In una notte come questa
E, i treni? Quei bambini con il viso schiacciato contro i finestrini, in braccio alle madri, le mani tese a salutare un padre che forse non vedranno più? Non sono deportati certo, sono profughi, ma negli occhi sbarrati dei piccoli ucraini non scorgi una simile paura? Treni stracarichi vanno lentamente verso la Polonia. No, non è la Shoah grazie a Dio, ma com'è lugubre questo fuggire, in milioni, infagottati nei cappotti contro il gelo di marzo in Ucraina: abbandonando ogni cosa. Quattordici giorni. E questo maledetto assurdo film non vuole finire.
I tg ci angosciano. Cerchi un qualsiasi film già visto, che ti riporti in un mondo normale - per riuscire a dormire. Non puoi escludere nemmeno del tutto quelle apocalittiche realtà che finora andavi a cercare al cinema (tanto poi, fuori, ritrovavi la pace consueta).
«In una notte come questa bisognerebbe solo inginocchiarsi e pregare», scrisse la giovane ebrea Etty Hillesum, vedendo i suoi amici ad Amsterdam salire sui treni. No, non sono gli stessi treni, certo. Ma di nuovo è notte: e forse bisognerebbe solo inginocchiarsi, e pregare.