Ho sempre trovato inquietante e preoccupante l’identificazione abusiva di egoismo e individualismo. È cosa risaputa che tutti i regimi autoritari e totalitari abbiano abbondantemente usato questa identificazione per combattere e liquidare come colpa civile non solo la libertà dei singoli, ma perfino per cancellare la loro umana realtà. Ma molto più interessante, perché più insidiosa, è la denigrazione degli individui in quanto tali che si esprime nelle democrazie in nome dell’uguaglianza democratica. Ritenendo se stesse senza macchia e senza peccato, le società che si autoproclamano libere chiedono agli individui di adeguarsi ad esse “senza fare storie”, perché adeguarsi a ciò che “tutti fanno” sarebbe di per se altruistico, democratico, comunitario e normale. Uno dei mezzi più usati dalle società di libero mercato per difendersi dalla libertà degli individui reali e ottenere la loro ubbidienza è trasformare i singoli in risibili caricature dell’individualismo. Uno dei temi preferiti dal martellamento pubblicitario, che ci tratta da puri e semplici consumatori, è l’esaltazione della “libertà senza limiti”. Questa è la più perfetta negazione del senso comune e del buon senso. Chi esalta e crede possibile una libertà senza limiti avvelena l’idea stessa di libertà, la rende tossica, irreale e inumana come una droga. Oggi si arriva a fare uso di droghe per ubbidire ai più volgari e ottusi miti di onnipotenza e credersi efficienti come macchine. Ma questo è il crollo dell’individuo e della libera capacità di pensiero. Il più madornale e distruttivo equivoco della cosiddetta “controcultura” degli anni Sessanta (Beat Generation, falsi orientalismi e malintesi misticismi) è stato il ricorso alle droghe come un mezzo per essere (per credersi) individui geniali e ribelli. Fu invece un lento suicidio della vera libertà e intelligenza.
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