La croce era una modalità di esecuzione della pena di morte praticata dai romani per gravi delitti, per ribelli allo Stato e per gli schiavi. Era praticata anche presso altre antiche civiltà. Era un supplizio atroce e umiliante, lento e degradante. Gesù di Nazareth, duemila anni fa, muore in croce, e la croce diventa sacrificio, liberazione e redenzione per tutti gli uomini. Per i suoi discepoli e per tutti i cristiani la croce rappresenta la passione del Figlio di Dio che subisce tale umiliazione e morte per assumere su di sé ogni male che affligge l’umanità, ogni peccato e sofferenza. Tutto è assunto da Gesù e vissuto nell’amore, come donazione totale, in solidarietà con l’umanità più sofferente, umiliata, “crocifissa”.
Quindi, anche se è un segno diventato tipicamente cristiano, la croce può essere indicata e compresa come espressione del “giusto” che raccoglie le sofferenze – le “croci” – di tanti, provati nel corpo e nello spirito, e che invocano giustizia, salvezza, speranza.
Con il termine “croce” indichiamo realtà diverse che provocano sofferenza. Ci sono le sofferenze dovute alla malattia, a sciagure naturali, a incidenti di varia natura; ricordandoci la nostra mortalità, il “limite” del nostro vivere sulla terra. C’è poi una sofferenza dovuta al male provocato dagli uomini: guerre, ingiustizie, oppressioni. E vi è la sofferenza che viene dal coraggio di essere responsabili fino in fondo verso gli altri per il cui bene si lotta, fino a “pagare di persona”: è la sofferenza del “giusto”, in un mondo spesso corrotto e che difficilmente accetta la verità e il bene. Mentre di solito il primo tipo di sofferenza non è evitabile, il secondo lo è, anche se con grande difficoltà. Il terzo tipo potrebbe più facilmente essere evitato, ma diventa questione di coscienza e di testimonianza verso sé stessi e verso gli altri.
La ricerca di senso, ma anche di sollievo, di cura, di ascolto e vicinanza, rinviano al desiderio profondo di salvezza, di liberazione; per non essere “schiacciati” dalla sofferenza, ma essere aiutati a vivere “attraverso” di essa, a “risorgere”, scoprendo di essere amati e capaci di amare e sperare anche nella sofferenza. «Gesù non ha inventato la croce: l’ha trovata anche lui sul proprio cammino, come ogni uomo. La novità che egli ha introdotto è stata quella di mettere nella croce un germe di amore...» (Carlo Maria Martini).
Il credente trova nella fede in Cristo la capacità di discernere la propria “croce” e quella di tanti altri, e di valutare in che modo esiga conversione (personale e comunitaria). Saprà invocare lo Spirito per impegnarsi nella liberazione della propria e altrui sofferenza, avvalendosi della medicina e lottando per la giustizia. E saprà accettare la sofferenza che non è del tutto eliminabile, interpretandola alla luce della croce di Cristo per la salvezza del mondo, partecipando alla Pasqua di risurrezione. In attesa della liberazione definitiva.
Cancelliere
Pontificia Accademia per la Vita
© riproduzione riservata