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In missione tra gli indios dell’Amazzonia aggredita

martedì 1 ottobre 2024
Dopo una notte insonne, mi sono alzata per scrivere della crisi che colpisce la Terra e, in particolare, le comunità più vulnerabili dell'Amazzonia. Mentre per me si è trattato di una sola notte insonne, per queste comunità sono migliaia di notti interminabili, vissute in un tunnel la cui uscita appare distante e dove l'alba non è ancora spuntata. Recentemente, a Iquitos, in Perù, si è tenuto un incontro della Rete Itinerante dell'Amazzonia, composta da religiosi di varie congregazioni e da volontari laici. Questa rete fornisce sostegno pastorale alle comunità indigene, fluviali, rurali e urbane, viaggiando lungo i fiumi dell'Amazzonia. Pur avendo una base stabile, i membri intraprendono viaggi che possono durare giorni o mesi, attraversando continuamente frontiere o, meglio, vivendo su confini esistenziali e aiutando ad affrontare i diversi problemi delle comunità dal basso. Per gli itineranti, i fiumi non separano, ma collegano, unendo popoli e comunità e sfumando i confini che gli Stati si ostinano a mantenere. Questo incontro ha offerto l’opportunità di riflettere sulla realtà amazzonica, una realtà segnata da una ricchezza simbolica che rende il territorio unico. La natura stessa – la giungla, i biomi, i fiumi, le reti e le imbarcazioni – diventa un mezzo per interpretare e ascoltare la vita a un livello profondo. La misione degli itineranti, che percorrono il territorio come Gesù fece in Galilea, trasforma ogni luogo in uno spazio vitale, dove si proclama la Parola. Questo territorio ci sfida a vivere in modo profetico, perché le ingiustizie imposte da un modello di sviluppo distruttivo non possono essere ignorate o taciute. È un sistema che uccide la vita senza offrire alternative, ma solo morte per tutto ciò che incontra sul suo cammino. Papa Francesco ha detto che i popoli indigeni sono i migliori custodi della terra, e lo afferma con cognizione di causa. Per molto tempo, queste comunità hanno vissuto in armonia con i loro fiumi e la loro terra, rendendo questi spazi in luoghi sacri, di spiritualità e interconnessione. Tuttavia, altri mondi e logiche hanno invaso la loro casa, rendendo la situazione attuale devastante: l’estrazione mineraria ha inquinato i fiumi con metalli pesanti, rendendo l’acqua non più potabile o sicura per il bagno o la pesca. Inoltre, la deforestazione sta prosciugando le zone umide, compromettendo la navigabilità dei fiumi e mettendo a rischio il sostentamento quotidiano delle comunità che dipendono dalla pesca e dall'agricoltura. Gli incendi, causati da interessi economici, stanno spgliando la vita. A questa aggressione ambientale si aggiunge la violenza contro le comunità stesse. Lo sfruttamento dei beni bioculturali ha costretto molte persone a migrare verso le periferie urbane, dove si trovano intrappolate nella povertà ed esposte a situazioni ancora più pericolose, come la tratta di esseri umani, il traffico di organi e vari abusi psicologici e sessuali. Questo rende molte città non vitali e insostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. È incomprensibile che gli interessi economici di pochi prevalgano sul bene della Terra e dei suoi abitanti. L'avidità non sta solo distruggendo gli ecosistemi, ma anche la vita delle persone che da essi dipendono. La resistenza locale, per quanto coraggiosa, non è sufficiente. È urgente unirsi per difendere i diritti della natura e i diritti umani, o ci troveremo di fronte a un imminente ecocidio. Siamo sull'orlo di un punto di non ritorno. Questo è un momento cruciale per l'umanità. Non possiamo più negare il diritto di sognare un futuro migliore per le generazioni future, umane e non umane. Dobbiamo imparare nuovamente a coesistere con la Madre Terra, in relazioni giuste e sane che ristabiliscano l’equilibrio tra tutti gli esseri viventi. Ciò implica disimparare l’antropocentrismo e adottare un profondo rispetto per la vita cosmica nel suo complesso. © riproduzione riservata