Tra gagliardi venti di guerra e sconcertanti dibattiti sullo squadrismo, è piacevole leggere un articolo che comincia così: «“Passiamo semplicemente il tempo”. Jameson Butler, capelli castani con ciocche tinte di biondo, è seduta con i suoi amici diciassettenni sui gradini della Central Library di Brooklyn, a Grand Army Plaza, in una ventosa domenica newyorkese. Qualcuno ha con sé un libro, nessuno ha lo smartphone. (Hanno scelto) di usare telefonini “a conchiglia” popolari vent’anni fa e che oggi sembrano reperti archeologici». Il servizio è firmato da Viviana Mazza (“Corriere”, 22/2) e parla del Luddite Club (vedi Press Party, 16/2), l’«anti social network», titolo: «La rivoluzione dei giovani senza smartphone. Letture, disegni e chitarra. “Così siamo noi stessi”». Qualcuno obietterà, ridendo di scherno, che sono quattro gatti. Ma le rivoluzioni, soprattutto quelle culturali – delle idee e dei comportamenti – le hanno sempre cominciate quattro gatti. Mazza racconta di Logan Lane: «Nella vita le sembrava di recitare per essere all’altezza della sua persona social. Allora ha cancellato tutti i profili» e abbandonato lo smartphone. Per caso ha incontrato alcuni adolescenti come lei ed ecco nascere il Luddite Club. Per una singolare coincidenza, quel «recitare per essere all’altezza della sua persona social» sembra estratto pari pari dalla ricerca dell’Università San Raffaele presentata da Simona Buscaglia sulla “Stampa” (24/2), titolo: «Depressione da selfie, i giovani si piacciono solo con il fotoritocco. Troppi scatti digitali alterano il rapporto con il proprio aspetto fisico». Stessa testata e stessa data, Gianluca Nicoletti evoca Dorian Gray nel suo commento dal titolo: «Se l’ansia da selfie ci spinge fuori dalla realtà». Fossimo in lui, una domenica andremmo a trovare i ragazzi del Luddite Club.
Caso Dahl. Sulla “Repubblica” (24/2) Michele Serra replica ai quotidiani di destra: «Gridare “fr****” (nostra censura, ndr) a un omosessuale è violenza. Censurare un cartoon di cinquant’anni fa, o un romanzo di cento anni fa, perché nel cast non ci sono omosessuali, è violenza anche quella». Si schiera con Dahl pure il “Manifesto” (23/2) e il “Giornale” (23/2) invita: «La cancel cultura? Si abbatte con l’ironia». Già, l’ironia: beato chi ce l’ha, sa usarla e la accetta.
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