Domanda all"esperto. «È meglio lo champagne oppure lo spumante italiano?». È un quesito classico, che agita i campanilismi dell"una o dell"altra parte. La risposta evidentemente non c"è, in quanto stiamo parlando di due scuole che hanno in comune solo una tecnica di produzione, ma quasi mai il risultato. La tecnica risale alla scoperta di un abate di Hautvilliers, tale dom Perignon, che intorno al 1600 - narra la leggenda - quasi per errore scoprì che la rifermentazione di un vino in bottiglia messo lì per tanto tempo dava un prodotto fragrante, fresco e con le bollicine fini.Quel metodo venne codificato come champenoise ed i francesi sono talmente gelosi di quella creatura che una decina di anni fa riuscirono a impedire ai produttori italiani di indicare in etichetta la stessa dicitura. Il nostro infatti si chiama «metodo classico» e prevede i medesimi passaggi della costruzione dello champagne. Ad un vino base di uve chardonnay e pinot nero si aggiungono lieviti e zucchero che agiscono producendo anidride carbonica e irrobustendo il vino. La bottiglia verrà confezionata con un provvisorio tappo a corona sotto il quale viene inserito un piccolo raccoglitore di plastica detto bidule. Le bottiglie subiranno ogni tanto un"energica scuotitura per meglio diffondere l"azione dei lieviti e negli ultimi sei mesi verranno accatastate a testa in giù nelle pupitres. In questa fase, i sedimenti lasciati dai lieviti scenderanno nel bidule e tale operazione verrà favorita dal remuage, ossia lo spostamento quotidiano delle bottiglie, in senso rotatorio, di un ottavo.Alla fine del periodo di circa tre anni si stappa la bottiglia e si elimina il bidule, per poi ricolmare la parte persa con il vero e proprio segreto di ogni casa: il liqueur d"expedition che conferisce il carattere brut, extra brut oppure demisec. Lo champagne, prodotto spesso con l"arte delle cuvèe (partite di vino di annate diverse messe insieme), ha un carattere più deciso degli spumanti italiani, che invece tendono all"equilibrio e alla morbidezza.