Più terra per sfamare il mondo. E per farlo vivere meglio. Tutto sommato è questo il messaggio della Giornata Mondiale del Suolo istituita nel 2014 dalla FAO, che si celebra domani 5 dicembre. Serve più terra da coltivare, e serve gestirla correttamente, con avvedutezza e lungimiranza. Anche in Italia. E non solo perché fatti come quello di Ischia si ripetono da tempo. Ma anche perché il nostro Paese nel giro di 50 anni ha visto scomparire il 30% dei terreni agricoli. Ed è così curioso che si parli così tanto oggi di sovranità alimentare, proprio in un momento in cui quasi fisicamente agli agricoltori la terra scompare sotto i piedi.
Tra il 2006 e il 2021 l’Italia – dice la Coldiretti – ha perso 1.153 km2 di suolo naturale o seminaturale, con una media di 77 km2 all'anno. Stando ai calcoli Ispra, il danno economico arriva a quasi 8 miliardi di euro all’anno tra mancate produzioni e danni determinati dal dissesto che la non-gestione delle terre provoca. Senza dimenticare che c’è terra e terra. Nel mondo, nota Confagricoltura, le cose non stanno certo meglio: secondo la FAO, il 33% dei suoli oggi ha segni di degrado e, se non si interverrà, questa quota arriverà al 90% entro il 2050, minacciando la produzione alimentare. Nell’ambito di “Cambia la Terra” - il progetto di FederBio con Legambiente, Lipu, Medici per l’Ambiente, Slow Food e WWF -, è stato calcolato che solo in Italia un terzo dei suoli è degradato.
Curare la terra prima di tutto, per arrivare ad una salubrità del cibo spesso ancora da realizzare e poi da difendere, e ottenere quella sovranità alimentare che molti invocano. Partendo dalla difesa delle terre agricole. E tenendo conto che qualcosa si sta facendo ma non basta. Così, pressoché tutti gli attori del sistema agroalimentare commentano con favore il “Fondo per il contrasto al consumo di suolo”, finanziato dalla manovra in discussione – con 10 milioni di euro nel 2023, 20 milioni nel 2024, 30 milioni di euro nel 2025 e 50 milioni di euro all’anno nel biennio 2026-2027 –, ma tutti dicono che è necessario intervenire di più e meglio. Ancora Coldiretti, per esempio, insiste sulla necessità di interventi di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque (non a caso insieme ad ANBI che riunisce i consorzi irrigui è stato presentato un vasto piano di bacini sul territorio). E «scelte consapevoli» invoca anche Confagricoltura che chiede di aiutare la filiera con strumenti adeguati, potenziare la ricerca, l’innovazione, gli studi scientifici e il monitoraggio sui suoli. «C’è ancora – viene affermato -, un discreto divario tra promesse e azioni concrete».
La difesa della terra è anche questione culturale. Un tema che, a ben vedere, tocca pure quello della globalizzazione. «Dobbiamo considerare definitivamente fallito un modello di globalizzazione selvaggia», ha detto proprio ieri alla conferenza Mediterranean Ministerial Dialogue on the Food Crisis Filiera Italia, l’alleanza che raccoglie da un lato i coltivatori e dall’altro una serie di importanti nomi industriali dell’agroalimentare. E, a ben vedere, una nuova e più equilibrata globalizzazione passa proprio da un’attenzione più alta nei confronti della terra da coltivare.
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