Perché opponiamo tanta resistenza a fermarci e a concederci forme di riposo che ci restituiscano a noi stessi? Per una ragione semplice: il movimento ci sembra più facile a viversi. Riempie il tempo, ci mantiene occupati nei suoi giri vertiginosi, mentre il riposo tante volte inizia con la sensazione di uno svuotamento, sorprendente, scomodo, duro da gestire. Per questo noi rifuggiamo dal riposo vero, nel quale l'incontro con noi stessi è inevitabile. È quel che spesso accade alle persone super-indaffarate che alfine decidono di darsi un tempo di sosta o di ritiro. Non è raro che la loro prima esperienza sia il desiderio di scappare, mentre pensano che quella del ritiro è stata una cattiva scelta: per prima cosa, infatti, avvertono un senso di abbandono, come se d'improvviso si trovassero a combattere da soli con la loro notte. Thomas Merton, un maestro che è necessario riscoprire, scrisse: «La via della quiete nemmeno arriva a essere una via, e chi la percorre non trova nulla». Suona strano, vero? Imparare a riposare è anche imparare a liberarsi dell'immediatismo delle nostre aspettative e dei nostri desideri eccessivamente idealizzati. Riposare è dirsi, nel fondo del cuore: «Sono qui, in attesa di niente».