Imparare e insegnare, quel circolo virtuoso tracciato da don Milani
Dalla discussione sul pro e sul contro don Milani quello che dovrebbe anzitutto emergere è come ritrovare, elaborare, far crescere la passione e il dovere dell'insegnare e dell'apprendere, lavorando e comunicando con bambini e ragazzi. Noterei che saper insegnare è importante, ma imparare è qualcosa che avviene anche indipendentemente e fuori dalla scuola. Se chi insegna non impara a sua volta qualcosa nell'atto di insegnare e da coloro a cui insegna, il processo educativo si blocca e perde quella vitalità immediata di cui ha assoluto bisogno. Lo stesso insegnante dovrebbe saper dosare, quando insegna, attività e passività, comunicazione efficace e ascolto attento di coloro che ha di fronte. Se non avviene il contatto personale di curiosità e di fiducia fra insegnanti e studenti, se non si fonda il lavoro necessario su una motivazione a compierlo, a scuola finisce per non succedere nulla: o nient'altro che dissipazione, estraneità, noia.
La questione del rapporto tra don Milani e la cultura politica del Sessantotto è un altro problema. Lettera a una professoressa fu impugnato come arma polemica e programma da una parte (direi la migliore) del movimento studentesco, ma ovviamente si leggevano allora molti altri libri. Quello di don Milani era coerentemente e coraggiosamente cristiano e se parlava di figli dei poveri (penalizzati dalla scuola) e di figli dei ricchi (per i quali la scuola conta poco) non era perché don Milani fosse un feroce marxista che inculca l'odio di classe. Dove esistono i poveri e i ricchi, le distinzioni sociali sono un fatto di cui sarebbe ipocrita non tenere conto.